L’aggravio burocratico toglie tempo all’attività medica, con evidenti ricadute sul servizio sanitario erogato ai cittadini

Dal primo gennaio nella provincia di Firenze è in corso la sperimentazione della riforma del riconoscimento della disabilità ai fini dell’invalidità civile, riforma che per quest’anno sarà sperimentale in alcune province italiane ma che dal 2026 diventerà effettiva su tutto il territorio nazionale.

Se, inizialmente, a storcere il naso sono stati i sindacati, convinti che la riforma sacrificasse la capillarità del servizio sanitario sul territorio, accentrando tutta la pratica sull’Inps, ora a esprimere più di un dubbio sono anche i medici di base che, riporta questa mattina La Nazione, sono travolti dal carico burocratico che inevitabilmente la procedura richiede.

Prima della riforma, spiega il quotidiano, la procedura per l’accertamento della disabilità era sostanzialmente divisa in due, con la parte più prettamente medica demandata ai medici di famiglia, e quella amministrativa in capo ai patronati: ora tutto è accentrato sulla figura del sanitario, il che chiaramente comporta un aggravio degli oneri che questo deve svolgere.

Molto critico sulla situazione è Alessandro Bonci, segretario provinciale della Fimmig (Federazione italiana dei medici di medicina generale) che al quotidiano racconta che l’accentramento della procedura sul medico di base ha comportato un aumento dei tempi per la compilazione della procedura, tempi che quindi, spiega, vengono sottratti all’attività ambulatoriale. Non solo, ma l’aumento dei tempi per la prestazione comporta anche un aumento dei costi del servizio, che quindi ricadono sul cittadino, con il rischio che alcuni decidano di non curarsi o non avviare la procedura per motivi economici.

Dello stesso parere è il vicesegretario della Fimmig provinciale, Iacopo Periti, che al quotidiano fa presente che i medici di base non sono tenuti a svolgere il nuovo servizio, perciò il rischio è che molti si rifiutino di svolgerlo.

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