In un’intervista rilasciata questa mattina a La Nazione, il professore associato di Sociologia della devianza Vincenzo Scalia ha commentato, partendo dall’omicidio del giovanissimo Maati Moubakir avvenuto a Campi Bisenzio la mattina del 29 dicembre, la situazione sempre più grave che le periferie e i giovani stanno vivendo.
Innanzitutto, afferma al quotidiano il professore Scalia, il problema delle periferie è di portata nazionale e riguarda, ormai, il tema della marginalizzazione di certe aree urbane e delle persone che lì vivono, in particolare gli stranieri e gli immigrati di seconda generazione, quei giovani e giovanissimi del tutto invisibili agli occhi dello Stato, privi anche della cittadinanza.
Ad aggravare la situazione concorre anche la sempre maggiore erosione delle occasioni di convivialità, la sparizione dei centri di aggregazione tradizionali, come campi da calcio o locali come le case del popolo, e la degenerazione del divertimento nello “sballo a tutti i costi”, come afferma il professor Scalia nell’intervista.
Un problema che si intreccia anche con il declino dei modelli educativi, a partire dagli adulti, anch’essi sempre più aggressivi e violenti in una società che fatica sempre più a trovare filtri e limiti.
E quel vuoto viene quindi colmato dalla violenza, dall’ostentazione, dall’aggressività, da quel tentativo di provare il “brivido di esser grandi”, un’esperienza che rompa la monotonia e il risentimento, e i social hanno contribuito a rendere il tutto più facilmente fruibile.
Non è però tutto perduto, perché, come afferma Scalia, le istituzioni, assieme alle associazioni di volontariato e alla società intesa come corpo, possono e devono intervenire per strappare giovani e giovanissimi alle strade della violenza e dell’aggressività, per impedire che gravi errori di gioventù possano avere conseguenze tremende per il resto della loro vita.
Innanzitutto, afferma al quotidiano il professore Scalia, il problema delle periferie è di portata nazionale e riguarda, ormai, il tema della marginalizzazione di certe aree urbane e delle persone che lì vivono, in particolare gli stranieri e gli immigrati di seconda generazione, quei giovani e giovanissimi del tutto invisibili agli occhi dello Stato, privi anche della cittadinanza.
Ad aggravare la situazione concorre anche la sempre maggiore erosione delle occasioni di convivialità, la sparizione dei centri di aggregazione tradizionali, come campi da calcio o locali come le case del popolo, e la degenerazione del divertimento nello “sballo a tutti i costi”, come afferma il professor Scalia nell’intervista.
Un problema che si intreccia anche con il declino dei modelli educativi, a partire dagli adulti, anch’essi sempre più aggressivi e violenti in una società che fatica sempre più a trovare filtri e limiti.
E quel vuoto viene quindi colmato dalla violenza, dall’ostentazione, dall’aggressività, da quel tentativo di provare il “brivido di esser grandi”, un’esperienza che rompa la monotonia e il risentimento, e i social hanno contribuito a rendere il tutto più facilmente fruibile.
Non è però tutto perduto, perché, come afferma Scalia, le istituzioni, assieme alle associazioni di volontariato e alla società intesa come corpo, possono e devono intervenire per strappare giovani e giovanissimi alle strade della violenza e dell’aggressività, per impedire che gravi errori di gioventù possano avere conseguenze tremende per il resto della loro vita.
Condividi
La funzionalità è stata disattivata perché si avvale di cookies (Maggiori informazioni)
Attiva i cookies
Attiva i cookies