Presentazioni fiorentine a cura di Paolo Mugnai

“Io non ho personaggi seriali, ma un luogo seriale, diventato un po’ il palcoscenico di tante storie”. Parole di Sacha Naspini dedicate all’amata Maremma, alla presentazione di “Bocca di strega” (Edizioni E/O) all’Ippodromo del Visarno con la giornalista Francesca Tofanari e i librai indipendenti di Firenze Books ovvero le librerie Leggermente, Alfani, Florida, Farollo e Falpalà.

Una Maremma diversa da quella narrata in altri libri da Naspini: “Una Maremma di mare, questa storia si sviluppa tra Piombino, Baratti, poi sulla Tuscia e si vola addirittura in California”.

Siamo nei primi anni Settanta e il tema è quello del grande traffico dei reperti  etruschi da parte dei tombaroli, già affrontato dall’autore ne “Le nostre assenze”, “l’unico romanzo autobiografico che rimanda al periodo dell’ultima infanzia e prima adolescenza. Prima dell’istituzione del TPC, Tutela del Patrimonio Culturale, era un mercato selvaggio. Fino agli anni Sessanta i ragazzini giocavano con i bronzetti etruschi e le anfore che trovavano”.

Come nasce “Bocca di strega”?
“È un po’ il resoconto di circa un anno di interviste con un trafficante tombarolo. Negli archivi dei giornali trovavo delle corrispondenze. Mi affascinava come era partito questo traffico, per i soldi ma anche per una sorta di dipendenza alla ricerca di quel momento specifico in cui rompi una tomba e dopo tremila anni sei il primo a rimetterci i piedi dentro. In particolare una scena che mi raccontò fu per me folgorante: l’episodio di quattro tombaroli rimasti chiusi di notte in una tomba millenaria, sotterrati vivi, al buio, che poi è diventata una scena perno del romanzo”.

Quel senso di soffocamento, claustrofobico, presente in altri romanzi
 è un tuo tratto distintivo. Perché?
“I luoghi chiusi, piccini, stretti sono una strategia narrativa stimolante, di tanto in tanto c’è questo gioco di gabbie”.

Chi erano i tombaroli?
“Personaggi come dei pirati di terra con una doppia vita e nomi di battaglia, di giorno con un mestiere e di notte per le tombe. Lo scavo nell’entroterra è un po’ come scavare dentro di te e cercare la tua nuova vita”.

Il personaggio principale è Bardo, all’anagrafe Guido Sacchetti. Chi è?
“Lui intuisce la potenzialità di quei reperti, distribuisce questi piccoli tesori nella comunità di Populonia creandosi una rete di protezione e comincia a viaggiare nella Tuscia, ma ‘Bocca di strega’ è come un romanzo corale con tanti personaggi. Il primo capitolo racconta il ristorante ‘La conchiglia’, dove si ritrovano di notte per fare il punto della situazione. Ogni capitolo è in terza persona, con la telecamera su un personaggio diverso”.

Biondo, Leagro, Alarico, il Marchese, sono alcuni dei compagni di avventura di Bardo, che ha un figlio, Giovanni, detto Veleno, che prenderà il suo posto.
“È ammaliato dal suo babbo come personaggio avventuroso. Gli insegna a individuare le tombe, come si scavano, e lui vuole mostrare al padre che anche lui ci sa fare”.

L’espressione ‘bocca di strega’ che cosa significa?
“L’ho inventata io, però è ispirata a un fatto avvenuto a Populonia forse cento anni fa, quando in un vecchio cimitero medievale fu ritrovato uno scheletro di donna sepolta con sette chiodi in bocca. Nel mondo dei miei tombaroli è la trappola per scoprire il traditore che si è venduto. Ci sono tante bocche di strega o forse è il romanzo stesso la bocca di strega generale per le ambiguità dei personaggi”.
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