Presentazioni fiorentine a cura di Paolo Mugnai

“Ebrrrea”. Sì, scritto proprio con tre r, a rafforzare il concetto intriso di disprezzo, è il titolo del libro di Adriana Giussani Kleinefeld edito l’anno scorso da Anpi e acquistabile on line. “Disse proprio così”, ricorda l’autrice, “in quel modo schifoso, una donna struccata col rimmel in viso e la sigaretta in mano mentre con mia madre le passammo accanto. Era l’estate del ’43, durante il primo bombardamento a Milano. Me lo ricordo bene”.

Adriana detta Bibò, la madre di origine ebraica e il papà cattolico, era una bambina ebrea cristiana, perché battezzata frequentava il catechismo ma anche le sinagoghe. Aveva 6 anni e per la prima volta sentì uno stupore misto a spavento. Adriana adesso di anni ne ha 88, è madre di tre figli e nonna di due nipoti, da sempre attiva nell’Anpi e iscritta all’Aned, ma da poco tempo racconta i suoi ricordi, che vanno da quell’episodio per lei traumatico fino al 25 aprile 1945.

“Questa storia non mi è mai stata raccontata dai miei genitori, né io l’ho ricordata con i miei figli, forse per la troppa sofferenza. Ho sentito questa necessità tre anni fa, quando sono venuta a Firenze per le Pietre d’Inciampo posate in memoria di Alberto e Pierluigi Guetta davanti allo stabile di Viale Vittorio Emanuele II ora Viale Fratelli Rosselli al numero 78. Erano i miei cugini, trucidati dai nazifascisti a Rancana, in Umbria, il 27 marzo 1944”.

Come è stato mettere per iscritto la sua storia?
“Una liberazione. Ho conosciuto a una conferenza lo storico Bruno Maida, autore di libri sui bambini nella Shoah. Ho pensato che nessun bambino nascosto lo aveva scritto, allora gli ho mandato due pagine, lui le ha lette e mi ha incoraggiato a continuare”.

Maida ha poi scritto la prefazione del libro di Adriana Giussani, “Ebrrrea. Una storia bambina”, che contiene anche i cenni storici di Edgardo Bertulli, le note finali al testo e molte immagini. Il libro racconta, attraverso il punto di vista di Bibò, la sua fuga da Milano, con la sorellina Claretta, ancora troppo piccola per capire quanto stava accadendo, e la mamma.

“Mi vergognavo. Di essere una bambina nascosta, senza nome e probabilmente ebrrrea”. I sentimenti, senza retorica, di una bambina in attesa di qualcosa di terribile che sta per accadere. Una bambina curiosa dei soldati tedeschi che le sembrano gentili, invece sono “cattivi. Cattivissimi. Ammazzano. Ammazzano anche
i bambini”, le dice la mamma. Bibò, Claretta e la mamma si nascondonoa Treviso, poi a Firenze nel solaio della casa degli zii Guetta Dante e Irma, ma devono di nuovo fuggire e a Claretta rimane il giocattolo perso da Vittorio, il cugino coetaneo. Si rifugiano allora nel piccolo convento in Borgo Ognissanti, dove però le bambine vengono separate dalla mamma e seguono lunghi mesi di angoscia. Solo a Natale, in un altro convento a Mercatale in Val di Pesa, la rivedono. Finalmente riunite, la mamma e le figlie trovano l’ultimo nascondiglio a Milano in casa di amici fino al 25 aprile del 1945.

In questa serie di eventi qual è l’immagine più traumatica?
“Quando a Mercatale rividi mia madre vestita da suora. Pensai che non era più la mia mamma ma una suora, ero disperata, invece l’avevano nascosta in un altro convento”.

A distanza di tanti anni che cosa prova verso Bibò, se stessa bambina nascosta?
“Ancora adesso due cugini mi chiamano Bibò. Se ripenso alla bambina che ero, me la coccolo, mi fa pena. Ero diventata orfana, non sapendo nulla di papà e mamma. Ho ancora il quadernino nero, che mi regalarono le suore, dove scrivevo le mie preghiere e i miei pensieri, in particolare il desiderio di rivedere la mamma”. Il libro è dedicato “a coloro che conobbero la fuga e furono nascosti e salvati e a suor Anna Maria Cavallari che dorme il sonno dei Giusti”. “Suor Anna Maria Cavallari ci ha salvato. Ho poi saputo che ha nascosto ebrei e politici senza mai dire niente, nemmeno alle consorelle”. (ndr la famiglia Guetta citata nell’articolo è quella del nostro direttore David: Alberto e Pierluigi gli zii, Vittorio il padre, Dante e Irma i nonni).


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