La Libreria Gioberti Le Cure è un punto di incontro per tutti i lettori del quartiere. Inaugurata lo scorso novembre dopo la chiusura dell’edicola a fine estate, è entrata nel cuore della gente. Giornali, giocattoli, articoli di cartoleria e soprattutto libri. Gli eventi aiutano.
Come la presentazione del libro di David Basevi, “Participio futuro” (Betti Editrice), con l’introduzione di Marialuisa Bianchi e le letture a cura di Riccardo Biffoli. Che sia stato un sabato pomeriggio di festa lo dimostra la gente in piedi perché non c’erano più posti a sedere, la partecipazione, la curiosità, la fila in coda per l’acquisto del volume.
Basevi è al suo secondo romanzo e si vede che dopo “Il conto dei passi e dei bottoni”, che si svolge nel rione di Campo di Marte, gode della fiducia dei lettori, attratti anche dal titolo del nuovo volume, così particolare, “Participio futuro”.
“Il participio normalmente si declina al passato, anche al presente”, spiega l’autore, “invece qui gli si dà una speranza, declinandolo al futuro. In latino esiste il participio futuro, ma io ho voluto giocare sulla dualità, i due paesi e i due fratelli, ed è anche il cognome di due personaggi”.
La copertina che cosa significa?
“È il tutto e il contrario di tutto, su questo sfondo bianco con il dubbio da che parte guardare, quindi un po’ enigmatico. Le piante danno sempre un senso di rinascita”.
La protagonista del romanzo, Francesca, è una giornalista che vorrebbe andare in Kosovo per raccontare la guerra, ma le viene suggerito di intervistare un faccendiere a Roccasannìa in Calabria, dove incontrerà due persone, un fratello e una sorella che non si parlano da anni, che stanno cercando di superare una scomparsa e di trovare una loro identità.
Perché una protagonista femminile?
“Scrivendo, l’animo femminile mi dà molti stimoli in più. Mi era capitato lo stesso per il primo romanzo. Mi piace scrivere di donne, mi incuriosisce il loro universo, si scoprono tante cose”.
Chi è Francesca?
“Una donna che si porta dentro grossi dolori con un passato di tossicodipendenza, una corrispondente di guerra con l’idea di andare a raccontare il Kosovo come se annegare in tragedie altrui togliesse attenzione alle proprie, però nel mezzo le capita un’intervista con un imprenditore del sud e a malincuore ci va. La storia prevede un percorso di emersione di Francesca, da un viaggio faticoso di sofferenza a un finale di consapevolezza e presa di coscienza”.
Che cosa lega questi personaggi?
“Tutti hanno dovuto fare i conti con persone scomparse. Avevo poi bisogno di mettere una figura più leggera, così ho pensato a un postino, una sorta di Forrest Gump, e mentre scrivevo di lui questa figura prendeva sempre più spazio fino a diventare fondamentale all’interno della storia con la sua tenera follia”.
Perché scrivere?
“Credo che ognuno di noi abbia la possibilità di vedere le proprie ferite con nuovi occhi, così ho scritto questa storia perché c’è sempre la possibilità di andare avanti. Nella parte iniziale riporto una frase: bastano immaginazione, amore e un pizzico di magia, questa piccola miscela a volte aiuta a trasformare e a trasformarsi. La scrittura è un momento magico, se lo fai con l’anima è un viaggio profondo, vai a toccare dei punti particolari, talvolta molto dolorosi. A volte mi fermo dieci minuti per trovare la parola giusta, che provochi quella emozione che ricerco. Lo scrivere per me è uno spremersi d’anima, non tanto di pensieri o di sapienza”.
Come la presentazione del libro di David Basevi, “Participio futuro” (Betti Editrice), con l’introduzione di Marialuisa Bianchi e le letture a cura di Riccardo Biffoli. Che sia stato un sabato pomeriggio di festa lo dimostra la gente in piedi perché non c’erano più posti a sedere, la partecipazione, la curiosità, la fila in coda per l’acquisto del volume.
Basevi è al suo secondo romanzo e si vede che dopo “Il conto dei passi e dei bottoni”, che si svolge nel rione di Campo di Marte, gode della fiducia dei lettori, attratti anche dal titolo del nuovo volume, così particolare, “Participio futuro”.
“Il participio normalmente si declina al passato, anche al presente”, spiega l’autore, “invece qui gli si dà una speranza, declinandolo al futuro. In latino esiste il participio futuro, ma io ho voluto giocare sulla dualità, i due paesi e i due fratelli, ed è anche il cognome di due personaggi”.
La copertina che cosa significa?
“È il tutto e il contrario di tutto, su questo sfondo bianco con il dubbio da che parte guardare, quindi un po’ enigmatico. Le piante danno sempre un senso di rinascita”.
La protagonista del romanzo, Francesca, è una giornalista che vorrebbe andare in Kosovo per raccontare la guerra, ma le viene suggerito di intervistare un faccendiere a Roccasannìa in Calabria, dove incontrerà due persone, un fratello e una sorella che non si parlano da anni, che stanno cercando di superare una scomparsa e di trovare una loro identità.
Perché una protagonista femminile?
“Scrivendo, l’animo femminile mi dà molti stimoli in più. Mi era capitato lo stesso per il primo romanzo. Mi piace scrivere di donne, mi incuriosisce il loro universo, si scoprono tante cose”.
Chi è Francesca?
“Una donna che si porta dentro grossi dolori con un passato di tossicodipendenza, una corrispondente di guerra con l’idea di andare a raccontare il Kosovo come se annegare in tragedie altrui togliesse attenzione alle proprie, però nel mezzo le capita un’intervista con un imprenditore del sud e a malincuore ci va. La storia prevede un percorso di emersione di Francesca, da un viaggio faticoso di sofferenza a un finale di consapevolezza e presa di coscienza”.
Che cosa lega questi personaggi?
“Tutti hanno dovuto fare i conti con persone scomparse. Avevo poi bisogno di mettere una figura più leggera, così ho pensato a un postino, una sorta di Forrest Gump, e mentre scrivevo di lui questa figura prendeva sempre più spazio fino a diventare fondamentale all’interno della storia con la sua tenera follia”.
Perché scrivere?
“Credo che ognuno di noi abbia la possibilità di vedere le proprie ferite con nuovi occhi, così ho scritto questa storia perché c’è sempre la possibilità di andare avanti. Nella parte iniziale riporto una frase: bastano immaginazione, amore e un pizzico di magia, questa piccola miscela a volte aiuta a trasformare e a trasformarsi. La scrittura è un momento magico, se lo fai con l’anima è un viaggio profondo, vai a toccare dei punti particolari, talvolta molto dolorosi. A volte mi fermo dieci minuti per trovare la parola giusta, che provochi quella emozione che ricerco. Lo scrivere per me è uno spremersi d’anima, non tanto di pensieri o di sapienza”.
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