Un giallo italiano. Fu davvero una disgrazia? L’8 gennaio 2001, verso le sette di sera, nel giardino di Villa Altachiara a Portofino, scompariva la contessa Francesca Vacca Agusta. Una ventina di giorni più tardi il suo cadavere venne ritrovato in mare, a pochi metri da una baita in Costa Azzurra. Cadde accidentalmente dalla rupe o qualcuno la spinse?
Da questo caso, che all’epoca fece scalpore e tuttora si ricorda, nasce l’ultimo romanzo di Valerio Aiolli “Portofino blues” (Voland), candidato al premio Strega e presentato al Centrolibro di Scandicci con Simone Innocenti, che collabora con La Lettura, inserto culturale del Corriere, ed è cronista di nera e giudiziaria e lui stesso scrittore.
“Era una storia pazzesca, multistrato, con tanti punti per raccontarla e tutto quello che ci sta intorno”, esordisce Aiolli. “Una storia di mistero classica, quasi da Agatha Christie, perché ci sono tre persone chiuse in una villa meravigliosa, su un puntone di roccia che guarda da un lato uno dei borghi marinari più belli del mondo e dall’altro il mare, e una notte d’inverno una di quelle persone sparisce. Chi erano quelle persone, molto diverse l’una dall’altra, e come erano arrivate lì?”
Un romanzo con due parti interconnesse, il dentro e il fuori, come dice Innocenti. Il dentro è ciò che accade nella villa l’8 gennaio e il fuori è l’Italia del tempo, tra amori, droga, eredità milionarie. Il ritratto di un mondo e di un’epoca attraverso i protagonisti, a cominciare da Francesca Vacca Agusta, la commessa diventata contessa per avere sposato un conte intorno agli anni Settanta, entrando così in una famiglia tra le più ricche d’Italia.
“La narrativa seria non narra storielle per intrattenere, ma storie per raggiungere grandi o piccole verità umane e questi personaggi mi davano l’occasione per provare a raccontare qualcuna di quelle verità”.
La morte della contessa è sempre stata considerata, dagli inquirenti e dal punto di vista storico del romanzo, una disgrazia, ma Aiolli lavora sul grande dubbio se lo fu davvero.
“Su questa vicenda non c’è mai stato un processo, né degli indagati, ma solo delle persone informate sui fatti, alla fine il pubblico ministero archiviò la pratica. Mentre cercavo di dare ordine alla grande massa di materiale dei giornali dell’epoca, dei canali raggiunti dal computer, dei libri scritti dai protagonisti, dei filmati e le trasmissioni radiofoniche, mi colpì una frase della giovane sostituta procuratrice, morta pochi anni dopo: questa vicenda è un collage. Ascoltando le versioni di Tirso, di Susanna, della cameriera Teresa e di chi partecipò alle ricerche della contessa, vide che ognuno diceva una verità, ma non c’era un quadro preciso. Decisi così di raccontare questa storia per piccoli brani, anche delle vicende lontane dalla villa ma che riguardano quell’ambiente, come il Messico e Maurizio Raggio, che aveva effettuato operazioni di riciclaggio del tesoro del partito socialista”.
Scrivere una storia con protagoniste delle persone ancora vive che cosa comporta?
“Servono equilibrio e incoscienza, applicando le armi della letteratura. Sono tratti dalle persone vere, ma sono personaggi di un libro. Quando entri nella testa o, come dicono gli inglesi, nelle scarpe di qualcuno che non sei te, c’è sempre il rischio di sbagliare trovando una voce che non sia quella adeguata nella ricostruzione che tu fai o paradossalmente trovi la voce reale. Difficile dire cosa io abbia raggiunto”.
Da questo caso, che all’epoca fece scalpore e tuttora si ricorda, nasce l’ultimo romanzo di Valerio Aiolli “Portofino blues” (Voland), candidato al premio Strega e presentato al Centrolibro di Scandicci con Simone Innocenti, che collabora con La Lettura, inserto culturale del Corriere, ed è cronista di nera e giudiziaria e lui stesso scrittore.
“Era una storia pazzesca, multistrato, con tanti punti per raccontarla e tutto quello che ci sta intorno”, esordisce Aiolli. “Una storia di mistero classica, quasi da Agatha Christie, perché ci sono tre persone chiuse in una villa meravigliosa, su un puntone di roccia che guarda da un lato uno dei borghi marinari più belli del mondo e dall’altro il mare, e una notte d’inverno una di quelle persone sparisce. Chi erano quelle persone, molto diverse l’una dall’altra, e come erano arrivate lì?”
Un romanzo con due parti interconnesse, il dentro e il fuori, come dice Innocenti. Il dentro è ciò che accade nella villa l’8 gennaio e il fuori è l’Italia del tempo, tra amori, droga, eredità milionarie. Il ritratto di un mondo e di un’epoca attraverso i protagonisti, a cominciare da Francesca Vacca Agusta, la commessa diventata contessa per avere sposato un conte intorno agli anni Settanta, entrando così in una famiglia tra le più ricche d’Italia.
“La narrativa seria non narra storielle per intrattenere, ma storie per raggiungere grandi o piccole verità umane e questi personaggi mi davano l’occasione per provare a raccontare qualcuna di quelle verità”.
La morte della contessa è sempre stata considerata, dagli inquirenti e dal punto di vista storico del romanzo, una disgrazia, ma Aiolli lavora sul grande dubbio se lo fu davvero.
“Su questa vicenda non c’è mai stato un processo, né degli indagati, ma solo delle persone informate sui fatti, alla fine il pubblico ministero archiviò la pratica. Mentre cercavo di dare ordine alla grande massa di materiale dei giornali dell’epoca, dei canali raggiunti dal computer, dei libri scritti dai protagonisti, dei filmati e le trasmissioni radiofoniche, mi colpì una frase della giovane sostituta procuratrice, morta pochi anni dopo: questa vicenda è un collage. Ascoltando le versioni di Tirso, di Susanna, della cameriera Teresa e di chi partecipò alle ricerche della contessa, vide che ognuno diceva una verità, ma non c’era un quadro preciso. Decisi così di raccontare questa storia per piccoli brani, anche delle vicende lontane dalla villa ma che riguardano quell’ambiente, come il Messico e Maurizio Raggio, che aveva effettuato operazioni di riciclaggio del tesoro del partito socialista”.
Scrivere una storia con protagoniste delle persone ancora vive che cosa comporta?
“Servono equilibrio e incoscienza, applicando le armi della letteratura. Sono tratti dalle persone vere, ma sono personaggi di un libro. Quando entri nella testa o, come dicono gli inglesi, nelle scarpe di qualcuno che non sei te, c’è sempre il rischio di sbagliare trovando una voce che non sia quella adeguata nella ricostruzione che tu fai o paradossalmente trovi la voce reale. Difficile dire cosa io abbia raggiunto”.
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