Un bombardamento visivo e sonoro fatto di 130 schermi accesi, ognuno con un contenuto diverso rubato dai social network. È questo il cuore di Vainglory, l'installazione audiovisiva del musicista e artista Max Magaldi,curata da Simone Sensi e prodotta da the Goodness Factory con la partnership tecnica di Reapp, visibile fino a domani alla Stazione Leopolda di Firenze, all'interno del Bright Festival , manifestazione internazionale dedicata all'arte digitale e all'innovazione creativa.
L'opera mette in scena l'obbligo di mettersi in scena a cui siamo tutti sottoposti nell'era dei social media che, parafrasando Eco, hanno dato diritto di parola a legioni di creativi. Nell'epoca in cui il sociale è diventato sociale, è molto più facile diventare creatori che cittadini.
L'installazione è strutturata in due momenti. Nella prima parte lo spettatore viene letteralmente immerso nel caos: 130 telefoni proiettano simultaneamente contenuti video presi principalmente da TikTok, generando una babele visiva e sonora che materializza la confusione del mondo digitale.
“ Sui social siamo abituati a vedere un contenuto alla volta, scorrendo senza sosta - racconta l'artista- in Vainglory invece il visitatore ne vede e sente 130, contemporaneamente, e viene messo faccia a faccia col caos comunicativo che ognuno di noi contribuisce a creare ogni giorno.”
Nella seconda parte dell'esperienza, Magaldi manipola i video e li sincronizza, trasformando il disordine iniziale in una composizione audiovisiva organica. Il climax si chiude con lo spegnimento degli schermi: i telefoni retroilluminati, spenti, assumono l'aspetto di ceri votivi, restituendo allo spettatore un momento di silenzio e sospensione.
"Dopo il caos, il silenzio diventa un bisogno fisico. È quasi un sollievo. I telefoni spenti sono bellissimi, forse dovremmo tutti tenerli spenti un po' più spesso - commenta Magaldi -. Mi piace pensare che questo spazio si trasformi in una sorta di santuario digitale, dove ognuno può riflettere sul proprio rapporto con i social"
Vainglory fa parte di Devices/theVices, un ciclo di sette installazioni dedicate ai vizi capitali digitali. Gli smartphone utilizzati per l'opera sono stati messi a disposizione da Reapp, azienda italiana che si occupa di rigenerazione e ricondizionamento di dispositivi elettronici, in un'ottica di sostenibilità e riuso delle tecnologie.
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