La scure del risparmio si abbatte anche sul Consolato USA a Firenze, che il presidente americano Donald Trump e il suo braccio destro a capo del Dipartimento per l’Efficienza Governativa Elon Musk hanno messo nel mirino per tagliare i costi e ridurre le spese.
Una decisione che sembra non piacere né agli italiani né tantomeno agli stessi americani.
Riporta questa mattina il Corriere Fiorentino che la prima ad essere preoccupata dal rischio che il consolato chiuda è Baker Hughes, che in Toscana ha qualcosa come 4400 addetti a Firenze (al Nuovo Pignone) e 400 a Massa: “Si tratta di un interlocutore preferenziale per noi, la sua presenza è positiva e importante per il territorio”.
Dello stesso avviso il coordinatore del progetto Connect Us Joshua Henderson, che da tre anni fa da ponte fra investitori americani e start up toscane: “Il progetto è nato con il consolato e con Nana Bianca, se il consolato chiudesse sarebbe un gran peccato, anche se noi andremmo comunque avanti. E poi non ci sarebbe un gran risparmio”.
Preoccupate per la chiusura della sede diplomatica sono anche, e soprattutto, aziende e istituzioni ed enti del territorio.
Sia il gruppo Antinori, che negli Stati Uniti ha degli investimenti e che giudica pessima l’idea di porre dazi verso l’estero, sia la Camera di Commercio di Firenze: “Pensiamo sia opportuno che gli States mantengano il consolato di Firenze attivo, sia per gli storici rapporti tra Firenze e gli Stati Uniti, sia per la massiccia presenza di studenti e turisti americani in Toscana, sia per il valore degli scambi commerciali” commenta il presidente Massimo Manetti.
“Il consolato americano è stato promotore di progetti di promozione e scambio commerciale, chiuderlo significherebbe interromperli. E poi tra le aziende toscane a conduzione straniera, quelle americane sono al secondo posto per numero di lavoratori. Speriamo non solo che il consolato rimanga aperto, ma che intensifichi la sua attività” commenta invece al quotidiano il presidente di Confindustria Toscana Maurizio Bigazzi.
Una decisione che sembra non piacere né agli italiani né tantomeno agli stessi americani.
Riporta questa mattina il Corriere Fiorentino che la prima ad essere preoccupata dal rischio che il consolato chiuda è Baker Hughes, che in Toscana ha qualcosa come 4400 addetti a Firenze (al Nuovo Pignone) e 400 a Massa: “Si tratta di un interlocutore preferenziale per noi, la sua presenza è positiva e importante per il territorio”.
Dello stesso avviso il coordinatore del progetto Connect Us Joshua Henderson, che da tre anni fa da ponte fra investitori americani e start up toscane: “Il progetto è nato con il consolato e con Nana Bianca, se il consolato chiudesse sarebbe un gran peccato, anche se noi andremmo comunque avanti. E poi non ci sarebbe un gran risparmio”.
Preoccupate per la chiusura della sede diplomatica sono anche, e soprattutto, aziende e istituzioni ed enti del territorio.
Sia il gruppo Antinori, che negli Stati Uniti ha degli investimenti e che giudica pessima l’idea di porre dazi verso l’estero, sia la Camera di Commercio di Firenze: “Pensiamo sia opportuno che gli States mantengano il consolato di Firenze attivo, sia per gli storici rapporti tra Firenze e gli Stati Uniti, sia per la massiccia presenza di studenti e turisti americani in Toscana, sia per il valore degli scambi commerciali” commenta il presidente Massimo Manetti.
“Il consolato americano è stato promotore di progetti di promozione e scambio commerciale, chiuderlo significherebbe interromperli. E poi tra le aziende toscane a conduzione straniera, quelle americane sono al secondo posto per numero di lavoratori. Speriamo non solo che il consolato rimanga aperto, ma che intensifichi la sua attività” commenta invece al quotidiano il presidente di Confindustria Toscana Maurizio Bigazzi.
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