L'azienda chiude e 11 lavoratori restano disoccupati dopo esser stati regolarizzati il marzo scorso. Così una nuova protesta è scattata stamani a Prato davanti ai cancelli della ditta tessile Welltex di imprenditori cinesi.
"Queste persone hanno ottenuto un contratto regolare dopo aver scioperato contro i turni di lavoro 12 ore al giorno per sette giorni, finti part time e assenza di diritti e improvvisamente a metà ottobre l'azienda gli ha comunicato che avrebbe chiuso l'attività il 31 del mese con la rescissione dei contratti - spiega Arturo Gambassi dei Sudd Cobas - Da allora abbiamo avviato un presidio permanente giorno e notte, con i lavoratori in sciopero, per evitare lo smantellamento della fabbrica e la fuoriuscita dei macchinari. Chiediamo che venga attivata la cassa integrazione, come ammortizzatore sociale e l'avvio di una trattativa sindacale, entrambe negate dalla proprietà, che si rifiuta di parlare con noi".
Lunedì scorso, viene aggiunto, si è svolto un tavolo in prefettura, ma la situazione non si è sbloccata. "Il governo ha deliberato dieci settimane aggiuntive di cassa integrazione in deroga per il settore della moda, non capiamo perché non venga chiesta - prosegue il sindacalista - Non vorremmo che fosse un'altra storia di delocalizzazione. Per molti lavoratori c'è un'ulteriore beffa: hanno lavorato solo per pochi mesi con contratti regolari, nonostante siano lì da tempo. Per questo anche con la domanda di Naspi i contributi che gli arrivano sono pochissimi".
Gambassi fa un appello alle istituzioni: "Bene la condanna dello sfruttamento e delle violenze nel tessile, ma occorre fare di più per tutelare quei posti di lavoro regolari, ottenuti grazie alle lotte sindacali".
"Queste persone hanno ottenuto un contratto regolare dopo aver scioperato contro i turni di lavoro 12 ore al giorno per sette giorni, finti part time e assenza di diritti e improvvisamente a metà ottobre l'azienda gli ha comunicato che avrebbe chiuso l'attività il 31 del mese con la rescissione dei contratti - spiega Arturo Gambassi dei Sudd Cobas - Da allora abbiamo avviato un presidio permanente giorno e notte, con i lavoratori in sciopero, per evitare lo smantellamento della fabbrica e la fuoriuscita dei macchinari. Chiediamo che venga attivata la cassa integrazione, come ammortizzatore sociale e l'avvio di una trattativa sindacale, entrambe negate dalla proprietà, che si rifiuta di parlare con noi".
Lunedì scorso, viene aggiunto, si è svolto un tavolo in prefettura, ma la situazione non si è sbloccata. "Il governo ha deliberato dieci settimane aggiuntive di cassa integrazione in deroga per il settore della moda, non capiamo perché non venga chiesta - prosegue il sindacalista - Non vorremmo che fosse un'altra storia di delocalizzazione. Per molti lavoratori c'è un'ulteriore beffa: hanno lavorato solo per pochi mesi con contratti regolari, nonostante siano lì da tempo. Per questo anche con la domanda di Naspi i contributi che gli arrivano sono pochissimi".
Gambassi fa un appello alle istituzioni: "Bene la condanna dello sfruttamento e delle violenze nel tessile, ma occorre fare di più per tutelare quei posti di lavoro regolari, ottenuti grazie alle lotte sindacali".
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