Più bassi, in termini di potere d’acquisto, e diminuiti dello 0,3% annuo nel periodo 1995-2023. I salari in Toscana, come nel resto del nostro paese, sono un nervo scoperto di politica ed economia.
A fotografare la situazione, riporta questa mattina Il Tirreno, è l’ultimo rapporto Irpet “Dalla globalizzazione al protezionismo, i riflessi economici e sociali” presentato ieri a Palazzo Strozzi Sacrati dal direttore dell’istituto Nicola Sciclone e dal ricercatore Leonardo Ghezzi, alla presenza del portavoce del presidente della Regione Bernard Dika.
Se, da una parte, alcuni indicatori positivi comunque ci sono, come la diminuzione delle famiglie che dichiara di essere povera o molto povera, passata dall11,4% dell’anno scorso al 9,7% di quest’anno, o il numero delle persone che dichiarano di riuscire ad arrivare a fine mese, a quota 51,5%.
Ma, scrive il quotidiano, a preoccupare sono i dati relativi agli stipendi. Nel corso degli ultimi trent’anni, nel periodo 1995-2023, si sono contratti dello 0,3%, e sommando l’inflazione ad oggi si può dire che la retribuzione è diminuita del nove per cento: tra i fattori di questa contrazione, spiega l’Irpet, ci sono l’eccessiva frammentazione, flessibilità e disuguaglianza del mercato del lavoro e una diminuzione “dell’intensità lavorativa in termini di ore e giorni impegnati”.
Il salario minimo potrebbe rappresentare una parziale soluzione al problema, dato che permetterebbe ai lavoratori di percepire, in media, 234 euro mensili in più, che salirebbe a 243 considerando anche mensilità aggiuntive e Tfr.
A fotografare la situazione, riporta questa mattina Il Tirreno, è l’ultimo rapporto Irpet “Dalla globalizzazione al protezionismo, i riflessi economici e sociali” presentato ieri a Palazzo Strozzi Sacrati dal direttore dell’istituto Nicola Sciclone e dal ricercatore Leonardo Ghezzi, alla presenza del portavoce del presidente della Regione Bernard Dika.
Se, da una parte, alcuni indicatori positivi comunque ci sono, come la diminuzione delle famiglie che dichiara di essere povera o molto povera, passata dall11,4% dell’anno scorso al 9,7% di quest’anno, o il numero delle persone che dichiarano di riuscire ad arrivare a fine mese, a quota 51,5%.
Ma, scrive il quotidiano, a preoccupare sono i dati relativi agli stipendi. Nel corso degli ultimi trent’anni, nel periodo 1995-2023, si sono contratti dello 0,3%, e sommando l’inflazione ad oggi si può dire che la retribuzione è diminuita del nove per cento: tra i fattori di questa contrazione, spiega l’Irpet, ci sono l’eccessiva frammentazione, flessibilità e disuguaglianza del mercato del lavoro e una diminuzione “dell’intensità lavorativa in termini di ore e giorni impegnati”.
Il salario minimo potrebbe rappresentare una parziale soluzione al problema, dato che permetterebbe ai lavoratori di percepire, in media, 234 euro mensili in più, che salirebbe a 243 considerando anche mensilità aggiuntive e Tfr.
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