Presentazioni fiorentine a cura di Paolo Mugnai

Luciano Artusi presenta il suo ultimo libro, il centoduesimo per la precisione, scritto insieme al figlio Ricciardo, a Villa Vittoria e lo fa con la cultura, la disponibilità, l’entusiasmo, il piglio del ragazzino che lo contraddistingue da sempre. “Il nonno racconta Firenze”, il titolo dell’ultima fatica letteraria (Edizioni Udom) fa riferimento ai 92 anni di Luciano e vien voglia di chiedergli, oltre alle pubblicazioni su Firenze, una sull’arte della longevità.

I due autori, padre e figlio, parlano del libro con il padrone di casa Giovanni Fittante e l’editore Aldo Avvenuti. La sala è piena e le domande sono tante, ma Luciano ha una risposta per tutti.

Il libro è rivolto a un pubblico più giovane, della scuola dell’obbligo, così è composto da molti racconti al massimo di tre pagine, di vari argomenti per creare aspettativa e curiosità, per fare conoscere ai ragazzi la storia di Firenze.

Questo libro non è  la storia di Firenze, ma tante storie”, specifica Artusi, “Abbiamo cercato di renderlo più agevole possibile, una lettura facile, comprensibile, affinché la lettura di ogni capitolo invogli a verificare, vedere realmente quanto letto”.

Non è vero che su Firenze sia già stato scritto  e detto tutto: “Se si prende un argomento singolo e si va alle fonti giuste degli archivi si scoprono tante cose curiose, che sono quelle che rimangono impresse e ci fanno apprezzare maggiormente il monumento o il palazzo o il ponte, perché sappiamo un aneddoto avvenuto in quel posto”.

La ricerca di Luciano Artusi negli archivi è iniziata quando  aveva appena vent’anni: “Dal 1952 frequento gli archivi di Firenze, li conosco un po’ tutti e nei nostri libri raccontiamo sempre qualcosa di nuovo, perché ci sono quelle curiosità che si trovano nelle carte ingiallite degli archivi. Le scoperte si fanno sempre per caso, si va a cercare una cosa e se ne trova un’altra”.

Per esempio? “Di recente nell’archivio del Capitolo del Duomo abbiamo scoperto tante curiosità come le gattaiole nel Duomo, da un verbale dei canonici del 1800. Nelle due sacrestie del Duomo, infatti, alla base ci sono due gattaiole, perché la notte aprivano ai gatti essendoci i topi: il Brunelleschi aveva pensato anche a questo! Sono stato in Duomo chissà quante volte, ma non me ne ero mai accorto; letto questo, sono subito andato a verificare e ho constatato che, sì, ci sono due gattaiole”.

Nel libro ci sono storie particolari, come quella dell’uomo della forchetta. Chi era? “Nell’Ottocento successe un fatto strano. Dei giovanotti a tavola si raccontavano un episodio avvenuto a teatro, dove un prestigiatore si era messo in gola un coltello e poi una piccola sciabola. Ne parlavano e uno di loro, per dimostrare che era vero, si mise dall’alto una forchetta in bocca, ma gli scivolò e finì in gola. Con la forchetta nell’esofago, il ragazzo allora andò all’Ospedale di San Giovanni di Dio. Era un giovane tappezziere di trent’anni e provarono in tutte le maniere a estrarla, ma la forchetta andava sempre più giù. Neppure le purghe furono di aiuto. Ha campato ventidue anni in questa maniera, perciò veniva da tutti chiamato l’uomo della forchetta. Fino a quando venne ricoverato per una colica sempre a San Giovanni di Dio e il professore, lo stesso che lo aveva visitato la prima volta, lo operò, ma non ci fu niente da fare. L’uomo morì, ma la forchetta, se volete vederla, è al piccolo Museo di San Giovanni di Dio”.
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