“L’attività di fundraising, il finanziamento ad attività di partito o il sostegno a candidati, svolta dalla Fondazione Open è pienamente lecito”. Così un passo della motivazione della sentenza con cui la giudice di Firenze Sara Farini nel dicembre scorso ha prosciolto il senatore Matteo Renzi e altri 11 imputati coinvolti nell’inchiesta sulle presunte irregolarità nei finanziamento alla fondazione Open, nata nel 2012 e chiusa nel 2018, che sosteneva le iniziative politiche dell’allora segretario Pd.
“Buona parte del denaro raccolto dalla Fondazione - scrive la giudice – risulta impiegato per l’organizzazione delle edizioni annuali della Leopolda, manifestazione politica e culturale realizzata con la partecipazione di esponenti di diversi settori della società civile”. Eventi “che, partecipati da Matteo Renzi, non possono identificarsi tout court con la sua persona, né ritenersi estranei all’attività propria di una fondazione politica”.
La giudice ha fatto propria la sentenza della Corte di Cassazione che ha escluso come "sulla base degli elementi emersi dalle indagini vi fossero argomenti sufficienti per ritenere che la Fondazione Open agisse in simbiosi con il Pd e la corrente renziana quale articolazione di partito".
Per questo la gup ritiene che “con una motivazione ampia e lineare, fondata essenzialmente sul dato normativo e, quindi, difficilmente contestabile, non può essere compiuta una ragionevole prognosi di condanna”.
La giudice dell'udienza preliminare Sara Farini, nella sentenza di non luogo a procedere del 19 dicembre 2024 sul procedimento Open, ha prosciolto gli imputati anche scrivendo che "gli elementi acquisiti sulla base del materiale probatorio utilizzabile, non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna”.
Prosciolti, oltre al senatore Matteo Renzi, attuale leader di Italia Viva - ma qui imputato per fatti di quando era segretario del Partito Democratico -, la deputata Maria Elena Boschi, l’ex parlamentare Luca Lotti, l’avvocato Alberto Bianchi e l’imprenditore Marco Carrai, rispettivamente ex presidente e componente del consiglio direttivo di Open. E ancora, il manager e collaboratore della fondazione Patrizio Donnini Gallo, gli imprenditori Alfonso Toto, Riccardo Maestrelli, Pietro Di Lorenzo, l’ex vice presidente di Bat Italia Gianluca Ansalone, e l'ex responsabile relazioni esterne Giovanni Carucci.
Le accuse, contestate a vario titolo, erano di finanziamento illecito ai partiti, emissione di fatture false, corruzione, traffico illecito di influenze, autoriciclaggio. Degli oltre 50 faldoni con cui la procura chiese il rinvio a giudizio nel febbraio 2022, il materiale probatorio, nel contraddittorio tra procura e difese, “è stato epurato - scrive la gup - da quegli atti ritenuti illegittimi e non utilizzabili”.
Nel corso dell’udienza preliminare, proseguita lungo 16 udienze, scrive la gup nelle 28 pagine della motivazione, “hanno avuto un impatto decisivo le pronunce delle Corti superiori”. Dapprima la sentenza della Corte di Cassazione nel 2022 “ha definitivamente risolto la questione relativa al sequestro di dati e documenti estrapolati dai dispositivi informatici” in possesso a Carrai.
Infine la sentenza della Corte Costituzionale “ha ritenuto inutilizzabili ai fini della decisione tutte le chat ed email aventi come interlocutori i parlamentari” Renzi, Boschi, Lotti e il deputato Francesco Bonifazi (non indagato). Non utilizzabili sono state ritenute anche le intercettazioni telefoniche nei confronti dell’avvocato Alberto Bianchi, ex presidente della Fondazione Open.
“Buona parte del denaro raccolto dalla Fondazione - scrive la giudice – risulta impiegato per l’organizzazione delle edizioni annuali della Leopolda, manifestazione politica e culturale realizzata con la partecipazione di esponenti di diversi settori della società civile”. Eventi “che, partecipati da Matteo Renzi, non possono identificarsi tout court con la sua persona, né ritenersi estranei all’attività propria di una fondazione politica”.
La giudice ha fatto propria la sentenza della Corte di Cassazione che ha escluso come "sulla base degli elementi emersi dalle indagini vi fossero argomenti sufficienti per ritenere che la Fondazione Open agisse in simbiosi con il Pd e la corrente renziana quale articolazione di partito".
Per questo la gup ritiene che “con una motivazione ampia e lineare, fondata essenzialmente sul dato normativo e, quindi, difficilmente contestabile, non può essere compiuta una ragionevole prognosi di condanna”.
La giudice dell'udienza preliminare Sara Farini, nella sentenza di non luogo a procedere del 19 dicembre 2024 sul procedimento Open, ha prosciolto gli imputati anche scrivendo che "gli elementi acquisiti sulla base del materiale probatorio utilizzabile, non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna”.
Prosciolti, oltre al senatore Matteo Renzi, attuale leader di Italia Viva - ma qui imputato per fatti di quando era segretario del Partito Democratico -, la deputata Maria Elena Boschi, l’ex parlamentare Luca Lotti, l’avvocato Alberto Bianchi e l’imprenditore Marco Carrai, rispettivamente ex presidente e componente del consiglio direttivo di Open. E ancora, il manager e collaboratore della fondazione Patrizio Donnini Gallo, gli imprenditori Alfonso Toto, Riccardo Maestrelli, Pietro Di Lorenzo, l’ex vice presidente di Bat Italia Gianluca Ansalone, e l'ex responsabile relazioni esterne Giovanni Carucci.
Le accuse, contestate a vario titolo, erano di finanziamento illecito ai partiti, emissione di fatture false, corruzione, traffico illecito di influenze, autoriciclaggio. Degli oltre 50 faldoni con cui la procura chiese il rinvio a giudizio nel febbraio 2022, il materiale probatorio, nel contraddittorio tra procura e difese, “è stato epurato - scrive la gup - da quegli atti ritenuti illegittimi e non utilizzabili”.
Nel corso dell’udienza preliminare, proseguita lungo 16 udienze, scrive la gup nelle 28 pagine della motivazione, “hanno avuto un impatto decisivo le pronunce delle Corti superiori”. Dapprima la sentenza della Corte di Cassazione nel 2022 “ha definitivamente risolto la questione relativa al sequestro di dati e documenti estrapolati dai dispositivi informatici” in possesso a Carrai.
Infine la sentenza della Corte Costituzionale “ha ritenuto inutilizzabili ai fini della decisione tutte le chat ed email aventi come interlocutori i parlamentari” Renzi, Boschi, Lotti e il deputato Francesco Bonifazi (non indagato). Non utilizzabili sono state ritenute anche le intercettazioni telefoniche nei confronti dell’avvocato Alberto Bianchi, ex presidente della Fondazione Open.
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