L’ex attaccante della Fiorentina Giuseppe Rossi, a Firenze in occasione della presentazione del “Pepito Day”, ha parlato a tutto tondo a Radio Bruno.
Cominciando dalla partita che lo ha reso un idolo di Firenze: “Fiorentina-Juve? Nel tragitto verso lo stadio Franchi quel 20 ottobre capii quanto fosse sentita quella partita. C’era un’atmosfera veramente bella. Il primo tempo andò male, ricordo le parate di Neto, poi dopo il primo gol si riaprì tutto. Il secondo gol fu bello, anche un po’ fortunato, perché la palla si muoveva, forse Buffon rimase spiazzato da quel movimento del pallone. Ricordo il gol di Joaquin, non avevo le energie per esultare. Il quarto gol fu forse il più bello, con quella palla di Borja Valero, un altro che sapeva giocare molto bene a calcio. Ogni 20 ottobre ricevo migliaia e migliaia di messaggi, persone che mi scrivono per ricordare quella partita, quel 4-2.
In quel periodo lì ero forse il più forte. Ero capocannoniere, eravamo secondi in classifica, non solo per i miei gol. La squadra andava forte, giocava, avevamo un gran centrocampo col Pek, Borja, Aquilani, Joaquin, Cuadrado, Gonzalo, Savic. Una signora squadra”.
Babbo Rossi? “Si trasferì in America a 16 anni perché i miei nonni andarono là. Sapeva giocare a calcio, mio padre Fernando, ma mio nonno gli disse che non avrebbe potuto fare il calciatore, non c’erano i soldi. E lui è andato a lavorare, ha fatto l’insegnante. Giocava sempre, tutte le domeniche. L’ho perso a 23 anni. Mi ha insegnato tutto, la vita, il calcio. Anche quando giocavo, pensando di aver fatto una buona partita lui mi diceva: Sì, bravo, però. Quel però…Era il mio miglior amico”.
Sul periodo al Manchester United, Rossi racconta: “E’ stata la mia prima grande squadra. Ero cresciuto con idoli come York e Giggs. Mi ricordo quando firmai col Manchester vidi Giggs e pensai “Cavolo”. Manchester va oltre il campo. Conta molto come ci si comporta, sia dentro che fuori. Ferguson non gradiva tante cose, orecchini, cose così. La presenza era fondamentale. Con lui è stata un’esperienza di vita”.
Sull’esperienza al Villarreal, che lo ha consacrato come calciatore di alto livello, Pepito ricorda: “Un posto piccolo, con grande cultura calcistica. Il presidente ci ha messo tanti soldi, tanti investimenti, prese grandi giocatori come Sorin, Riquelme, Marcos Senna. Poi sono arrivato io e facemmo un grande anno, arrivammo secondi. Lì partì la mia carriera. Feci gol subito al debutto, ed è iniziato tutto”
Negli anni spagnoli fu cercato anche dal Barcellona: “Dovevo essere il compagno di squadra di Messi al Barcellona. Poi la cosa non andò fino in fondo. Venne anche la Juve a cercarmi, dovevo essere il dopo Del Piero, poi il Villarreal non mi volle cedere. Ce ne sono state tante di squadre che mi cercarono prima degli infortuni”.
Parma-Fiorentina? “Ricordo quel 2-0 con la maglia del Parma, prima doppietta in Serie A, tunnel al mio amico Pasqual e gol, rigore segnato a Frey…Fu una grande serata per me. Quella parte di stagione fu fondamentale per me, perché feci tanti gol al Parma e poi mi prese il Villarreal”.
Su Prandelli e la delusione di non andare ai mondiali del 2014: “Ci rimasi male per quella non convocazione. Feci di tutto per tornare in quel finale di stagione e andare con la Nazionale ai Mondiali. Ho visto il film di Baggio, più o meno come la mia storia. Forse lui aveva avuto un mesetto in più, quando Trapattoni non lo convocò. Feci le ultime 3 partite con la Fiorentina, feci 2 gol, giocai una parte della finale di Coppa Italia. Forse non ero al cento per cento, ma al novanta per cento sì. Avrei potuto dare tanto alla Nazionale. Ormai sono passati undici anni, vado avanti sereno e senza troppi rimpianti. Prandelli non l’ho ancora incontrato dopo quella cosa”. Il 22 al Pepito Day? “Se è libero può venire al Franchi, perché no?!”.
La carriera di Rossi è stata costellata di infortuni che lo hanno tormentato fin dai tempi del Villareal, ma dei quali oggi parla con serenità: “Non arrendersi, never give up, è sempre stato il mio modo di affrontare le cadute che ho vissuto. Se tieni vivo il sogno, hai qualcosa per cui lottare. Non ho mai pensato di arrendermi. Ho sempre voluto tornare a dimostrare quello che valevo e ad esprimermi ad alti livelli. Magari posso aver pensato due-tre giorni al perché fosse successo proprio a me, ma poi si deve reagire, perché altrimenti non puoi fare questo mestiere. Se mai dovessi fare l’allenatore o l’istruttore è questo che voglio trasmettere”.
Su un futuro come allenatore, Rossi non si nasconde: “A volte mi fermo coi ragazzini, faccio cose che a me sembrano facili ma che mi rendo conto che non sia così per tutti. In quei momenti mi devo fermare, tornare ‘umano’ e capire che va spiegato. Mi piacerebbe allenare, forse non i ragazzini, ma quelli un po’ più cresciutelli”.
Altri fenomeni? “Mi sono sempre detto che non ce n’erano tanti più forti di me. Ma è l’ego che parla. Quando parli con te stesso non ti puoi dire che ci sono troppi fenomeni o comunque tanti migliori di te. L’unica eccezione che ho sempre fatto è Messi. Legge le situazioni di gioco 3-4 volte prima degli altri, fa scelte veloci e con grande tecnica”.
Figli e famiglia? “Ho due figlie, sono un padre e un marito molto presente adesso che non gioco più. Anche se per casa c’è sempre una palla da calciare. Anche con loro.”
Infine, un commento sulla partita del 22 Marzo, che riunirà al Franchi grandissime personalità del mondo del calcio: “Firenze è una seconda casa. Ho scelto di fare qui la partita d’addio al calcio perché amo questa città. Sono stato qui poco, tre anni, ma sono stati anni intensi, belli e tornerò sempre ogni anno per farla vedere alle mie figlie. A Firenze ho avuto un gran bel rapporto con tutti. Per me tutti i fiorentini che mi fermavano erano amici. Non vedo l’ora di tornare in campo il 22 al Franchi, stare coi miei ex compagni, amici, avversari e con tutti i fiorentini. La tecnica ce l’ho ancora eh, la corsa un po’ meno” esclama sorridendo. “Il calcio per me è vita, è bellissimo”.
Cominciando dalla partita che lo ha reso un idolo di Firenze: “Fiorentina-Juve? Nel tragitto verso lo stadio Franchi quel 20 ottobre capii quanto fosse sentita quella partita. C’era un’atmosfera veramente bella. Il primo tempo andò male, ricordo le parate di Neto, poi dopo il primo gol si riaprì tutto. Il secondo gol fu bello, anche un po’ fortunato, perché la palla si muoveva, forse Buffon rimase spiazzato da quel movimento del pallone. Ricordo il gol di Joaquin, non avevo le energie per esultare. Il quarto gol fu forse il più bello, con quella palla di Borja Valero, un altro che sapeva giocare molto bene a calcio. Ogni 20 ottobre ricevo migliaia e migliaia di messaggi, persone che mi scrivono per ricordare quella partita, quel 4-2.
In quel periodo lì ero forse il più forte. Ero capocannoniere, eravamo secondi in classifica, non solo per i miei gol. La squadra andava forte, giocava, avevamo un gran centrocampo col Pek, Borja, Aquilani, Joaquin, Cuadrado, Gonzalo, Savic. Una signora squadra”.
Babbo Rossi? “Si trasferì in America a 16 anni perché i miei nonni andarono là. Sapeva giocare a calcio, mio padre Fernando, ma mio nonno gli disse che non avrebbe potuto fare il calciatore, non c’erano i soldi. E lui è andato a lavorare, ha fatto l’insegnante. Giocava sempre, tutte le domeniche. L’ho perso a 23 anni. Mi ha insegnato tutto, la vita, il calcio. Anche quando giocavo, pensando di aver fatto una buona partita lui mi diceva: Sì, bravo, però. Quel però…Era il mio miglior amico”.
Sul periodo al Manchester United, Rossi racconta: “E’ stata la mia prima grande squadra. Ero cresciuto con idoli come York e Giggs. Mi ricordo quando firmai col Manchester vidi Giggs e pensai “Cavolo”. Manchester va oltre il campo. Conta molto come ci si comporta, sia dentro che fuori. Ferguson non gradiva tante cose, orecchini, cose così. La presenza era fondamentale. Con lui è stata un’esperienza di vita”.
Sull’esperienza al Villarreal, che lo ha consacrato come calciatore di alto livello, Pepito ricorda: “Un posto piccolo, con grande cultura calcistica. Il presidente ci ha messo tanti soldi, tanti investimenti, prese grandi giocatori come Sorin, Riquelme, Marcos Senna. Poi sono arrivato io e facemmo un grande anno, arrivammo secondi. Lì partì la mia carriera. Feci gol subito al debutto, ed è iniziato tutto”
Negli anni spagnoli fu cercato anche dal Barcellona: “Dovevo essere il compagno di squadra di Messi al Barcellona. Poi la cosa non andò fino in fondo. Venne anche la Juve a cercarmi, dovevo essere il dopo Del Piero, poi il Villarreal non mi volle cedere. Ce ne sono state tante di squadre che mi cercarono prima degli infortuni”.
Parma-Fiorentina? “Ricordo quel 2-0 con la maglia del Parma, prima doppietta in Serie A, tunnel al mio amico Pasqual e gol, rigore segnato a Frey…Fu una grande serata per me. Quella parte di stagione fu fondamentale per me, perché feci tanti gol al Parma e poi mi prese il Villarreal”.
Su Prandelli e la delusione di non andare ai mondiali del 2014: “Ci rimasi male per quella non convocazione. Feci di tutto per tornare in quel finale di stagione e andare con la Nazionale ai Mondiali. Ho visto il film di Baggio, più o meno come la mia storia. Forse lui aveva avuto un mesetto in più, quando Trapattoni non lo convocò. Feci le ultime 3 partite con la Fiorentina, feci 2 gol, giocai una parte della finale di Coppa Italia. Forse non ero al cento per cento, ma al novanta per cento sì. Avrei potuto dare tanto alla Nazionale. Ormai sono passati undici anni, vado avanti sereno e senza troppi rimpianti. Prandelli non l’ho ancora incontrato dopo quella cosa”. Il 22 al Pepito Day? “Se è libero può venire al Franchi, perché no?!”.
La carriera di Rossi è stata costellata di infortuni che lo hanno tormentato fin dai tempi del Villareal, ma dei quali oggi parla con serenità: “Non arrendersi, never give up, è sempre stato il mio modo di affrontare le cadute che ho vissuto. Se tieni vivo il sogno, hai qualcosa per cui lottare. Non ho mai pensato di arrendermi. Ho sempre voluto tornare a dimostrare quello che valevo e ad esprimermi ad alti livelli. Magari posso aver pensato due-tre giorni al perché fosse successo proprio a me, ma poi si deve reagire, perché altrimenti non puoi fare questo mestiere. Se mai dovessi fare l’allenatore o l’istruttore è questo che voglio trasmettere”.
Su un futuro come allenatore, Rossi non si nasconde: “A volte mi fermo coi ragazzini, faccio cose che a me sembrano facili ma che mi rendo conto che non sia così per tutti. In quei momenti mi devo fermare, tornare ‘umano’ e capire che va spiegato. Mi piacerebbe allenare, forse non i ragazzini, ma quelli un po’ più cresciutelli”.
Altri fenomeni? “Mi sono sempre detto che non ce n’erano tanti più forti di me. Ma è l’ego che parla. Quando parli con te stesso non ti puoi dire che ci sono troppi fenomeni o comunque tanti migliori di te. L’unica eccezione che ho sempre fatto è Messi. Legge le situazioni di gioco 3-4 volte prima degli altri, fa scelte veloci e con grande tecnica”.
Figli e famiglia? “Ho due figlie, sono un padre e un marito molto presente adesso che non gioco più. Anche se per casa c’è sempre una palla da calciare. Anche con loro.”
Infine, un commento sulla partita del 22 Marzo, che riunirà al Franchi grandissime personalità del mondo del calcio: “Firenze è una seconda casa. Ho scelto di fare qui la partita d’addio al calcio perché amo questa città. Sono stato qui poco, tre anni, ma sono stati anni intensi, belli e tornerò sempre ogni anno per farla vedere alle mie figlie. A Firenze ho avuto un gran bel rapporto con tutti. Per me tutti i fiorentini che mi fermavano erano amici. Non vedo l’ora di tornare in campo il 22 al Franchi, stare coi miei ex compagni, amici, avversari e con tutti i fiorentini. La tecnica ce l’ho ancora eh, la corsa un po’ meno” esclama sorridendo. “Il calcio per me è vita, è bellissimo”.
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