La riflessione di Giovanni Fittante sulla guerra che continua ad insanguinare il Medio Oriente

Stiamo assistendo, impotenti, a uno degli orrori più disumani del nostro tempo. Le immagini che giungono quotidianamente da Gaza ci riportano indietro di ottant’anni, agli anni più bui della Seconda Guerra Mondiale, quando interi popoli venivano sterminati. Paradossalmente, oggi ad essere colpito è proprio un altro popolo martoriato: i palestinesi, mentre il ricordo della Shoah sembra essere stato smarrito da chi ne dovrebbe custodire la memoria.

Nessun crimine giustifica un altro crimine. Nemmeno l’orribile attacco del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas,che va condannato senza esitazioni, può rendere accettabili le scelte di un governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu, sempre più simile a un regime che ha perso ogni legittimità morale.
Oggi, sia Israele che la Palestina sono ostaggio delle frange più estreme: da un lato Hamas, che va estromesso e isolato dai territori insieme alle altre frange di terroristi; dall’altro una setta ideologica che, sotto la bandiera del sionismo religioso, ha trasformato Israele in una realtà che non può più essere definita compiutamente democratica.

A farne le spese sono i civili. Le stime parlano di oltre 60.000 morti tra la popolazione palestinese. Migliaia di bambini, donne, anziani. Uccisi, affamati, sfollati. E tutto questo in nome di una "lotta al terrorismo" che suona come un pretesto per cancellare un intero popolo. È un fallimento politico e morale non solo del governo israeliano, ma dell’intera comunità internazionale: un’ONU paralizzata dal diritto di veto, un’Europa che si rifugia in dichiarazioni burocratiche e una leadership americana – da Trump a Biden – che ha assecondato e sostenuto una linea inaccettabile.

Il possibile antisemitismo si combatte solo con scelte coraggiose e una visione illuminata. Una buona parte del popolo israeliano, infatti, si oppone alle politiche sciagurate di Netanyahu. Immaginate se, dopo l’attacco del 7 ottobre, invece di intraprendere il nefasto massacro del popolo palestinese, il governo israeliano avesse chiesto l’aiuto della comunità internazionale per sradicare Hamas, creando le condizioni per una sicurezza duratura per Israele. Sarebbe stata una strada difficile, ma lungimirante.

Ma a questo punto, la denuncia, da sola, non basta. È il momento di tornare a pensare e a proporre soluzioni. La sola via possibile resta quella di due popoli e due stati. Perché ciò avvenga, è necessario un piano ambizioso, lucido e condiviso: una missione internazionale – sotto l’egida dell’ONU, con il contributo dell’Unione Europea, dell’Unione Africana e dell’America – che amministri e ricostruisca lo Stato Palestinese per un periodo transitorio di almeno dieci anni. Un governo civile e militare multinazionale, capace di garantire ordine, sicurezza e sviluppo, ma soprattutto di disarmare e neutralizzare ogni forma di estremismo.

Parallelamente, Israele deve essere obbligato a ritirarsi dai territori occupati, compresa la Cisgiordania . Non può esserci pace senza giustizia, e la giustizia non può prescindere dal rispetto del diritto internazionale. Allo stesso modo, dall’altra parte, è necessario pretendere l’immediata restituzione degli ostaggi da parte di Hamas: un atto imprescindibile per qualunque processo di pace.
Le soluzioni, seppur difficili, esistono. A mancare, drammaticamente, sono leader coraggiosi e visionari, capaci di interpretare la complessità del nostro tempo e restituire al mondo la speranza.

La questione palestinese è, fin dall’inizio, il risultato di errori storici e cecità politica. Ma oggi più che mai è tempo di dire basta. Basta alle stragi, basta all’odio, basta a un sistema che ha smarrito ogni riferimento etico e morale.
Serve un nuovo umanesimo, un cambio di prospettiva radicale. Serve tornare a guardare il mondo con occhi di giustizia, pace e dignità. Perché ogni popolo ha diritto a un futuro. Anche quello palestinese.
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