La donna e i suoi diritti. Dalla fine della guerra, di strada ne è stata fatta. E tanta. Basti pensare al primo grande passo avanti in ambito politico che risale, appunto, al 1945, anno in cui alle donne maggiorenni (all’epoca la maggiore età era al compimento di 21 anni) viene riconosciuto il diritto di voto. Poi, un anno dopo, col decreto n. 74 del 10 marzo del 1946, viene data alle donne la possibilità di essere elette. Il 7 novembre del 1946, nell’articolo 29 della Costituzione, dove la donna rileva come coniuge, viene affermato con un difficile equilibrio tra futuro e passato: “l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”. Inoltre, nel 1968 c’è stata l’abrogazione del reato di adulterio, nel 1970 l’introduzione della legge 898 sul divorzio, nel 1978 un altro immenso passo avanti, ovvero l’introduzione della legge 194 sull’aborto e nel 1981, precisamente il 5 agosto, con la legge 442, sono state abrogate le disposizioni sul delitto d’onore.
Insomma, è stato dimostrato, negli anni, che la parità non si misura solo a parole, ma con i fatti. Eppure la famigerata uguaglianza tra uomo e donna è ancora molto lontana in tante cose. Anche a Firenze dove, nonostante il popolo abbia eletto per la prima volta un sindaco donna, ci sono tante cose da fare per raggiungere la parità tra uomo e donna. Perché tutto quello che è stato fatto, negli anni, con fatica e coraggio, non è ancora sufficiente – per esempio – a garantire lo stesso guadagno a parità di impiego e di impegno tra uomo e donna. E questo, di conseguenza, non consente alla donna di essere indipendente economicamente, cosa che rispecchia il primo vero passo avanti verso la parità di genere.
Ne abbiamo parlato con Cristina Manetti, Capo di Gabinetto della Regione Toscana, nonché Presidente del Museo Casa di Dante e ideatrice del progetto Toscana delle Donne, un’iniziativa contro la violenza e le discriminazioni di genere, per promuovere i diritti, i diritti e i meriti delle donne.
Partiamo da un concetto di base: è d’accordo sul fatto che l’indipendenza economica sia il primo tassello – o uno dei primi – per garantire l’uguaglianza tra uomo e donna?
“Sì, sono assolutamente d’accordo, perché questo aspetto va ben oltre il suo aspetto economico, è una questione di rispetto e dignità della persona. E non è solo una questione di indipendenza, è anche una questione di parità di genere. Purtroppo, quanto a questo, i dati sono ancora tristemente eloquenti. Penso per esempio all’Osservatorio Inps sul lavoro dipendente, che nel 2023 ha rilevato che la retribuzione media annua per il genere maschile è di 26.227 euro contro i 18.305 euro del genere femminile. Ma mi sembra eclatante anche il Global Gender Gap Report, che ogni anno fa il punto sul divario di genere in ben 146 paesi, peraltro mettendo insieme anche altre dimensioni, quali il livello di istruzione e la salute. Ebbene, nel Rapporto 2024 l’Italia perde otto posizioni rispetto all’anno prima e si posiziona all’ottantasettesimo posto nel mondo e al trentasettesimo in Europa, davanti solo a Ungheria, Repubblica Ceca e Turchia”.
Dunque, c’è da chiedersi perché, ancora oggi, che siamo nel 2025 e che di passi avanti ne sono stati fatti, le donne non raggiungono lo stesso numero degli uomini nelle posizioni di vertice nel mondo del lavoro?
“Per quanto riguarda le posizioni di vertice nel mondo del lavoro, forse, si può parlare del classico bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno. La parità è ancora lontana, ma la crescita positiva negli ultimi anni è indubbio. Dal 2008 al 2021 le donne dirigenti in Italia sono cresciute ben del 77%, anche se rappresentano ancora solo poco più del 20% del totale. Il peso delle cure familiari – non equamente distribuite – e le resistenze culturali dispiegano ancora i loro effetti”.
Siamo ancora legati a spot sessisti che riguardano l’inadeguatezza della donna, secondo il mondo maschile, nello svolgere determinate mansioni e cimentarsi in professioni appellate “da uomini”… Perché? Perché una donna non può dirigere aziende? Perché una donna non può parlare o scrivere di motori e sport? Perché una donna è legata e relegata ancora indissolubilmente al ruolo di secondo piano, in (quasi) ogni posto di lavoro?
“Per la donna è sempre più difficile far emergere e farsi riconoscere il proprio talento. Poi, quando si oltrepassa questa barriera, in genere ci si chiede perché ci sia voluto così tanto tempo. Non c’è professione in cui la donna non possa esprimere capacità analoghe a quelle dell’uomo, e anzi, a volte dovrebbe essere l’uomo a far sue qualità che si considerano proprie della donna. Gli esperti, per esempio, dicono che nelle realtà guidate dalle donne c’è maggiore opportunità di ascolto e il lavoro di squadra è più apprezzato”.
Cosa è possibile fare per far sì che la donna possa essere considerata e soprattutto pagata in egual misura rispetto a un uomo? E qui si torna all’indipendenza economica.
“Credo che prima di tutto sia necessaria una grande rivoluzione culturale, che ponga la questione dei diritti, ma anche dei meriti e dei talenti. Una rivoluzione che dia alle stesse donne maggiore consapevolezza su se stesse e su ciò che la società deve riconoscere loro. Senza di essa non avremo le leggi necessarie e ci saranno anche leggi che resteranno lettera morta”.
Dall’aspetto economico e di realizzazione professionale, a quello legato alla violenza di genere, che sembra impossibile da sconfiggere, considerando i continui femminicidi che colpiscono il nostro Paese ogni giorno. Da dove si può partire per sradicare il malsano vizio della violenza sulla donna? Si parte da una base che dovrebbe essere l’educazione da parte della famiglia. E poi?
“Tutto in realtà si tiene e ogni situazione di discriminazione economica può essere anche un seme di violenza. Per me vale la stessa risposta di prima: questo paese ha bisogno di una grande rivoluzione culturale e senza di essa cadranno nel vuoto gli appelli che a ogni femminicidio si ripetono perché certe cose non succedano più”.
La richiesta di ostentazione della bellezza della donna, in certi ambiti, può essere considerata violenza?
“Sicuramente confermano e rafforzano una certa idea della donna, come oggetto e come proprietà, un’idea che può prestare il fianco a certi comportamenti”.
Cristina, da poco è uscito il suo libro “A PENELOPE CHE PRENDE LA VALIGIA”, dove libertà, coraggio, tenacia, cambiamento sono punti cardinali…
“Prima ancora che parole, sono valori che devono ispirare ancora di più l’azione delle donne per cambiare la nostra società e la vita di ognuna. Laddove nel passato abbiamo ottenuto qualcosa, è perché questi valori sono stati messi in gioco. Non bisogna dimenticarlo, così come non ci si deve mai dimenticare che ogni conquista non è data mai una volta per tutte”.
Insomma, è stato dimostrato, negli anni, che la parità non si misura solo a parole, ma con i fatti. Eppure la famigerata uguaglianza tra uomo e donna è ancora molto lontana in tante cose. Anche a Firenze dove, nonostante il popolo abbia eletto per la prima volta un sindaco donna, ci sono tante cose da fare per raggiungere la parità tra uomo e donna. Perché tutto quello che è stato fatto, negli anni, con fatica e coraggio, non è ancora sufficiente – per esempio – a garantire lo stesso guadagno a parità di impiego e di impegno tra uomo e donna. E questo, di conseguenza, non consente alla donna di essere indipendente economicamente, cosa che rispecchia il primo vero passo avanti verso la parità di genere.
Ne abbiamo parlato con Cristina Manetti, Capo di Gabinetto della Regione Toscana, nonché Presidente del Museo Casa di Dante e ideatrice del progetto Toscana delle Donne, un’iniziativa contro la violenza e le discriminazioni di genere, per promuovere i diritti, i diritti e i meriti delle donne.
Partiamo da un concetto di base: è d’accordo sul fatto che l’indipendenza economica sia il primo tassello – o uno dei primi – per garantire l’uguaglianza tra uomo e donna?
“Sì, sono assolutamente d’accordo, perché questo aspetto va ben oltre il suo aspetto economico, è una questione di rispetto e dignità della persona. E non è solo una questione di indipendenza, è anche una questione di parità di genere. Purtroppo, quanto a questo, i dati sono ancora tristemente eloquenti. Penso per esempio all’Osservatorio Inps sul lavoro dipendente, che nel 2023 ha rilevato che la retribuzione media annua per il genere maschile è di 26.227 euro contro i 18.305 euro del genere femminile. Ma mi sembra eclatante anche il Global Gender Gap Report, che ogni anno fa il punto sul divario di genere in ben 146 paesi, peraltro mettendo insieme anche altre dimensioni, quali il livello di istruzione e la salute. Ebbene, nel Rapporto 2024 l’Italia perde otto posizioni rispetto all’anno prima e si posiziona all’ottantasettesimo posto nel mondo e al trentasettesimo in Europa, davanti solo a Ungheria, Repubblica Ceca e Turchia”.
Dunque, c’è da chiedersi perché, ancora oggi, che siamo nel 2025 e che di passi avanti ne sono stati fatti, le donne non raggiungono lo stesso numero degli uomini nelle posizioni di vertice nel mondo del lavoro?
“Per quanto riguarda le posizioni di vertice nel mondo del lavoro, forse, si può parlare del classico bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno. La parità è ancora lontana, ma la crescita positiva negli ultimi anni è indubbio. Dal 2008 al 2021 le donne dirigenti in Italia sono cresciute ben del 77%, anche se rappresentano ancora solo poco più del 20% del totale. Il peso delle cure familiari – non equamente distribuite – e le resistenze culturali dispiegano ancora i loro effetti”.
Siamo ancora legati a spot sessisti che riguardano l’inadeguatezza della donna, secondo il mondo maschile, nello svolgere determinate mansioni e cimentarsi in professioni appellate “da uomini”… Perché? Perché una donna non può dirigere aziende? Perché una donna non può parlare o scrivere di motori e sport? Perché una donna è legata e relegata ancora indissolubilmente al ruolo di secondo piano, in (quasi) ogni posto di lavoro?
“Per la donna è sempre più difficile far emergere e farsi riconoscere il proprio talento. Poi, quando si oltrepassa questa barriera, in genere ci si chiede perché ci sia voluto così tanto tempo. Non c’è professione in cui la donna non possa esprimere capacità analoghe a quelle dell’uomo, e anzi, a volte dovrebbe essere l’uomo a far sue qualità che si considerano proprie della donna. Gli esperti, per esempio, dicono che nelle realtà guidate dalle donne c’è maggiore opportunità di ascolto e il lavoro di squadra è più apprezzato”.
Cosa è possibile fare per far sì che la donna possa essere considerata e soprattutto pagata in egual misura rispetto a un uomo? E qui si torna all’indipendenza economica.
“Credo che prima di tutto sia necessaria una grande rivoluzione culturale, che ponga la questione dei diritti, ma anche dei meriti e dei talenti. Una rivoluzione che dia alle stesse donne maggiore consapevolezza su se stesse e su ciò che la società deve riconoscere loro. Senza di essa non avremo le leggi necessarie e ci saranno anche leggi che resteranno lettera morta”.
Dall’aspetto economico e di realizzazione professionale, a quello legato alla violenza di genere, che sembra impossibile da sconfiggere, considerando i continui femminicidi che colpiscono il nostro Paese ogni giorno. Da dove si può partire per sradicare il malsano vizio della violenza sulla donna? Si parte da una base che dovrebbe essere l’educazione da parte della famiglia. E poi?
“Tutto in realtà si tiene e ogni situazione di discriminazione economica può essere anche un seme di violenza. Per me vale la stessa risposta di prima: questo paese ha bisogno di una grande rivoluzione culturale e senza di essa cadranno nel vuoto gli appelli che a ogni femminicidio si ripetono perché certe cose non succedano più”.
La richiesta di ostentazione della bellezza della donna, in certi ambiti, può essere considerata violenza?
“Sicuramente confermano e rafforzano una certa idea della donna, come oggetto e come proprietà, un’idea che può prestare il fianco a certi comportamenti”.
Cristina, da poco è uscito il suo libro “A PENELOPE CHE PRENDE LA VALIGIA”, dove libertà, coraggio, tenacia, cambiamento sono punti cardinali…
“Prima ancora che parole, sono valori che devono ispirare ancora di più l’azione delle donne per cambiare la nostra società e la vita di ognuna. Laddove nel passato abbiamo ottenuto qualcosa, è perché questi valori sono stati messi in gioco. Non bisogna dimenticarlo, così come non ci si deve mai dimenticare che ogni conquista non è data mai una volta per tutte”.
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