Che effetti avranno le politiche di Trump sui mercati obbligazionari americani ed europei?
La domanda interessa la stragrande maggioranza dei risparmiatori fiorentini, visto che i BTP sono lo strumento maggiormente usato dagli investitori.
Otto anni fa, quando Donald Trump è stato eletto per la prima volta, i rendimenti dei Treasury erano molto al di sotto di quanto non siano oggi e la spesa pubblica non era un argomento dominante. Ora, il rendimento del decennale è almeno di 200 punti base più elevato rispetto ai livelli toccati quando Trump è entrato in carica a gennaio 2017.
Il divario dei rendimenti riflette il contesto economico radicalmente differente tra il 2017 e oggi. L’inflazione è semplicemente molto più alta. I tassi d’interesse USA sono ancora elevati, nonostante la Fed abbia tagliato i tassi di 75 punti base in risposta a un indebolimento della disoccupazione e un calo dell’inflazione dal picco post pandemico.
Mentre il resto del mondo ha faticato a riprendersi dopo la pandemia, la crescita USA resiste principalmente grazie a una forte spesa pubblica. Anche il fatto che i bilanci delle imprese e delle famiglie siano molto più sani rispetto al periodo successivo alla crisi finanziaria globale del 2008 ha sostenuto la crescita.
L’elezione di Trump ha sostenuto i mercati finanziari. L’indice azionario S&P 500 si aggira intorno ai massimi storici, il dollar index è al livello più alto dell’anno, gli spread del credito si sono ulteriormente ristretti e il VIX, noto come l’indicatore della paura, è sceso.
Trump ha promesso di imporre dazi di circa il 60% sulle importazioni dalla Cina e dal 10% al 20% sul resto del mondo nel tentativo di aumentare la capacità manifatturiera interna e attrarre investimenti esteri. Riteniamo che l’impatto di breve termine di questa mossa sarebbe un incremento dell’inflazione negli USA poiché le importazioni diventano più costose, minando al contempo la crescita di economie più votate all’export come Cina e Germania.
Il desiderio di alzare i salari nominali dei lavoratori, in particolare nella fascia bassa del mercato del lavoro, è un altro pilastro economico di Trump. L’alta inflazione dopo la pandemia ha eroso i salari reali dei lavoratori. Tuttavia, un’eventuale espulsione di massa di migranti, come previsto, potrebbe ridurre l’offerta di manodopera, spingere i salari interni al rialzo e mettere sotto pressione la redditività delle aziende.
I rendimenti delle obbligazioni a lungo termine sono cresciuti dopo il primo taglio dei tassi in questo ciclo a metà settembre. Erano rimasti su livelli elevati a causa delle preoccupazioni degli investitori sulla solidità della crescita statunitense, gli effetti inflattivi delle politiche già citate ma anche per un possibile incremento del deficit fiscale.
Il percorso di taglio dei tassi
Attualmente, l’economia USA dipende in larga misura da una spesa fiscale sostenuta per stimolare la crescita. Tuttavia, è improbabile che l’espansione economica possa durare a lungo, poiché i tassi reali sono ai massimi dal 2008, il che potrebbe danneggiare infine la crescita del settore privato, e condurre ad un indebolimento del dollaro. Uno scenario di questo tipo potrebbe sostenere le strategie d’investimento focalizzate sulla duration e favorire la rotazione verso le obbligazioni dei mercati emergenti che offrono rendimenti interessanti.
Con Trump nuovamente al vertice, sono emersi dubbi sul ritmo e sull’ampiezza dei tagli dei tassi da parte della Fed nei prossimi mesi perché le sue politiche potrebbero in primo luogo spingere l’inflazione al rialzo prima di provocare un calo della crescita. In modo interessante il Presidente della Fed, Jerome Powell, ha indicato che la banca centrale non ha fretta di abbassare i tassi, considerando la forza dell’economia.
Resta da vedere se la Fed taglierà i tassi entro la fine dell’anno. L'attuale prezzo di mercato dei tassi di interesse riflette questa incertezza, con il tasso terminale almeno 70 punti base sopra il tasso neutrale della Fed. Dal nostro punto di vista, il taglio dei primi 100 punti base sarà la parte più facile per la Fed, mentre le prospettive per il 2025 rimangono incerte. Tuttavia, l’alto punto di partenza per i tassi reali e il dollaro forte, insieme ai cambiamenti estremi che Trump vuole apportare, danneggeranno la crescita e ridurranno l’inflazione su scala mondiale. Ma si tratta semplicemente di un reset. Con i tassi in calo, unitamente a una spesa maggiore per investimenti a livello globale, dal 2025 in poi la crescita e l’inflazione torneranno ad essere volatili.
Per informazioni:
roberto.digiovine@iwprivateinvestments.it
La domanda interessa la stragrande maggioranza dei risparmiatori fiorentini, visto che i BTP sono lo strumento maggiormente usato dagli investitori.
Otto anni fa, quando Donald Trump è stato eletto per la prima volta, i rendimenti dei Treasury erano molto al di sotto di quanto non siano oggi e la spesa pubblica non era un argomento dominante. Ora, il rendimento del decennale è almeno di 200 punti base più elevato rispetto ai livelli toccati quando Trump è entrato in carica a gennaio 2017.
Il divario dei rendimenti riflette il contesto economico radicalmente differente tra il 2017 e oggi. L’inflazione è semplicemente molto più alta. I tassi d’interesse USA sono ancora elevati, nonostante la Fed abbia tagliato i tassi di 75 punti base in risposta a un indebolimento della disoccupazione e un calo dell’inflazione dal picco post pandemico.
Mentre il resto del mondo ha faticato a riprendersi dopo la pandemia, la crescita USA resiste principalmente grazie a una forte spesa pubblica. Anche il fatto che i bilanci delle imprese e delle famiglie siano molto più sani rispetto al periodo successivo alla crisi finanziaria globale del 2008 ha sostenuto la crescita.
L’elezione di Trump ha sostenuto i mercati finanziari. L’indice azionario S&P 500 si aggira intorno ai massimi storici, il dollar index è al livello più alto dell’anno, gli spread del credito si sono ulteriormente ristretti e il VIX, noto come l’indicatore della paura, è sceso.
Trump ha promesso di imporre dazi di circa il 60% sulle importazioni dalla Cina e dal 10% al 20% sul resto del mondo nel tentativo di aumentare la capacità manifatturiera interna e attrarre investimenti esteri. Riteniamo che l’impatto di breve termine di questa mossa sarebbe un incremento dell’inflazione negli USA poiché le importazioni diventano più costose, minando al contempo la crescita di economie più votate all’export come Cina e Germania.
Il desiderio di alzare i salari nominali dei lavoratori, in particolare nella fascia bassa del mercato del lavoro, è un altro pilastro economico di Trump. L’alta inflazione dopo la pandemia ha eroso i salari reali dei lavoratori. Tuttavia, un’eventuale espulsione di massa di migranti, come previsto, potrebbe ridurre l’offerta di manodopera, spingere i salari interni al rialzo e mettere sotto pressione la redditività delle aziende.
I rendimenti delle obbligazioni a lungo termine sono cresciuti dopo il primo taglio dei tassi in questo ciclo a metà settembre. Erano rimasti su livelli elevati a causa delle preoccupazioni degli investitori sulla solidità della crescita statunitense, gli effetti inflattivi delle politiche già citate ma anche per un possibile incremento del deficit fiscale.
Il percorso di taglio dei tassi
Attualmente, l’economia USA dipende in larga misura da una spesa fiscale sostenuta per stimolare la crescita. Tuttavia, è improbabile che l’espansione economica possa durare a lungo, poiché i tassi reali sono ai massimi dal 2008, il che potrebbe danneggiare infine la crescita del settore privato, e condurre ad un indebolimento del dollaro. Uno scenario di questo tipo potrebbe sostenere le strategie d’investimento focalizzate sulla duration e favorire la rotazione verso le obbligazioni dei mercati emergenti che offrono rendimenti interessanti.
Con Trump nuovamente al vertice, sono emersi dubbi sul ritmo e sull’ampiezza dei tagli dei tassi da parte della Fed nei prossimi mesi perché le sue politiche potrebbero in primo luogo spingere l’inflazione al rialzo prima di provocare un calo della crescita. In modo interessante il Presidente della Fed, Jerome Powell, ha indicato che la banca centrale non ha fretta di abbassare i tassi, considerando la forza dell’economia.
Resta da vedere se la Fed taglierà i tassi entro la fine dell’anno. L'attuale prezzo di mercato dei tassi di interesse riflette questa incertezza, con il tasso terminale almeno 70 punti base sopra il tasso neutrale della Fed. Dal nostro punto di vista, il taglio dei primi 100 punti base sarà la parte più facile per la Fed, mentre le prospettive per il 2025 rimangono incerte. Tuttavia, l’alto punto di partenza per i tassi reali e il dollaro forte, insieme ai cambiamenti estremi che Trump vuole apportare, danneggeranno la crescita e ridurranno l’inflazione su scala mondiale. Ma si tratta semplicemente di un reset. Con i tassi in calo, unitamente a una spesa maggiore per investimenti a livello globale, dal 2025 in poi la crescita e l’inflazione torneranno ad essere volatili.
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roberto.digiovine@iwprivateinvestments.it
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