Dopo gli ultimi forti rialzi della borsa american, riflettevo su cosa potrebbe rovinare la festa e ho cercato di mettere un po’ d’ordine su vari concetti che quotidianamente ci vengono somministrati dai media a dosi massicce.
Dopo due anni di rialzi consecutivi delle borse a Wall Street, il 2025 si prospetta come un anno con tante incognite per i mercati azionari, con la discriminante che sarà guidata unicamente dalla capacità delle aziende di generare utili e questo, francamente, oggi non appare preoccupante.
Con le aspettative di una crescita degli utili a doppia cifra, i numeri infatti promettono bene, ma la strada non è priva di insidie. L’attenzione degli investitori si concentra su un tema chiave: la capacità del mercato di ampliare la base dei titoli trainanti e sostenere le valutazioni in un contesto economico incerto. Partiamo dalle buone notizie.
Per il secondo anno consecutivo, gli utili dell’S&P 500 sono attesi in crescita a doppia cifra, con un incremento stimato del 14% nel 2025 rispetto al già solido +10,1% del 2024.
Questa crescita dovrebbe essere distribuita uniformemente durante l’anno, con un picco del +17,5% nell’ultimo trimestre. Non solo: si prevede che il miglioramento degli utili coinvolga un numero maggiore di settori, uscendo dal dominio dei colossi tecnologici.
Il cambiamento più evidente riguarda il tema della “ampiezza degli utili”. Nel 2024, i cosiddetti Magnificent Seven, i sette giganti tecnologici che hanno dominato il mercato, hanno contribuito per l’80% alla crescita degli utili dell’S&P 500. Nel 2025, tale contributo dovrebbe scendere al 42%, lasciando spazio a settori tradizionalmente meno considerati, come sanità (+20,4%), industriali (+19,1%) e materiali (+17,2%). Un eccellente segnale di maggiore equilibrio e diversificazione.
Tuttavia, dietro queste proiezioni positive si celano sfide importanti.
Poiché le aspettative sono “alte”, il mercato sarà vulnerabile (molto vulnerabile) a qualsiasi revisione negativa degli utili, mentre il mantra “tassi più alti più a lungo” impone un costo del capitale più elevato, comprimendo potenzialmente i margini. L’incertezza sulle politiche fiscali e commerciali post-elezione rappresenta un’altra variabile critica.
Saranno i tagli fiscali o l’aumento dei dazi a guidare il discorso economico? Se da un lato una riduzione delle aliquote promesse da Trump potrebbe rappresentare un catalizzatore per gli utili, dall’altro nuove tariffe commerciali rischiano di frenare la crescita. Un ulteriore punto di attenzione è la forza del dollaro, che ha guadagnato quasi il 10% da settembre.
Circa il 40% dei ricavi dell’S&P 500 proviene da fuori degli Stati Uniti, e un dollaro forte potrebbe pesare sui margini aziendali, in particolare nei settori con una maggiore esposizione internazionale. Anche il comportamento del consumatore è un tema controverso.
Se l’ottimismo post-elettorale ha portato a un iniziale aumento della spesa, resta da vedere se questo slancio sarà sostenibile.
Mentre i consumatori a reddito alto mostrano resilienza, quelli a reddito medio-basso continuano a essere influenzati da una combinazione di inflazione e tassi più elevati, mettendo in discussione la capacità di mantenere una crescita robusta nei consumi.
Dopo due anni di rialzi consecutivi delle borse a Wall Street, il 2025 si prospetta come un anno con tante incognite per i mercati azionari, con la discriminante che sarà guidata unicamente dalla capacità delle aziende di generare utili e questo, francamente, oggi non appare preoccupante.
Con le aspettative di una crescita degli utili a doppia cifra, i numeri infatti promettono bene, ma la strada non è priva di insidie. L’attenzione degli investitori si concentra su un tema chiave: la capacità del mercato di ampliare la base dei titoli trainanti e sostenere le valutazioni in un contesto economico incerto. Partiamo dalle buone notizie.
Per il secondo anno consecutivo, gli utili dell’S&P 500 sono attesi in crescita a doppia cifra, con un incremento stimato del 14% nel 2025 rispetto al già solido +10,1% del 2024.
Questa crescita dovrebbe essere distribuita uniformemente durante l’anno, con un picco del +17,5% nell’ultimo trimestre. Non solo: si prevede che il miglioramento degli utili coinvolga un numero maggiore di settori, uscendo dal dominio dei colossi tecnologici.
Il cambiamento più evidente riguarda il tema della “ampiezza degli utili”. Nel 2024, i cosiddetti Magnificent Seven, i sette giganti tecnologici che hanno dominato il mercato, hanno contribuito per l’80% alla crescita degli utili dell’S&P 500. Nel 2025, tale contributo dovrebbe scendere al 42%, lasciando spazio a settori tradizionalmente meno considerati, come sanità (+20,4%), industriali (+19,1%) e materiali (+17,2%). Un eccellente segnale di maggiore equilibrio e diversificazione.
Tuttavia, dietro queste proiezioni positive si celano sfide importanti.
Poiché le aspettative sono “alte”, il mercato sarà vulnerabile (molto vulnerabile) a qualsiasi revisione negativa degli utili, mentre il mantra “tassi più alti più a lungo” impone un costo del capitale più elevato, comprimendo potenzialmente i margini. L’incertezza sulle politiche fiscali e commerciali post-elezione rappresenta un’altra variabile critica.
Saranno i tagli fiscali o l’aumento dei dazi a guidare il discorso economico? Se da un lato una riduzione delle aliquote promesse da Trump potrebbe rappresentare un catalizzatore per gli utili, dall’altro nuove tariffe commerciali rischiano di frenare la crescita. Un ulteriore punto di attenzione è la forza del dollaro, che ha guadagnato quasi il 10% da settembre.
Circa il 40% dei ricavi dell’S&P 500 proviene da fuori degli Stati Uniti, e un dollaro forte potrebbe pesare sui margini aziendali, in particolare nei settori con una maggiore esposizione internazionale. Anche il comportamento del consumatore è un tema controverso.
Se l’ottimismo post-elettorale ha portato a un iniziale aumento della spesa, resta da vedere se questo slancio sarà sostenibile.
Mentre i consumatori a reddito alto mostrano resilienza, quelli a reddito medio-basso continuano a essere influenzati da una combinazione di inflazione e tassi più elevati, mettendo in discussione la capacità di mantenere una crescita robusta nei consumi.
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