E sugli stereotipi dice: “Giudicate una calciatrice per il suo rendimento in campo, non per come porta i capelli o con chi esce la sera a cena”

Abbiamo sviscerato l’argomento della parità di genere da ogni punto di vista e abbiamo capito che, se tanto è stato fatto per raggiungere determinati traguardi apparentemente irraggiungibili, molto altro ancora è da fare per poter costruire una società dove non ci sia più una disparità evidente e inammissibile, incomprensibile, ingiustificabile tra uomo e donna. Così, concludiamo il nostro viaggio con una delle massime esponenti sportive della città di Firenze, Alia Guagni, ex calciatrice della Fiorentina e della Nazionale italiana di calcio femminile, che ha vissuto le due facce del mondo del pallone in rosa, quella prima e quella dopo il professionismo.



Parto dal giorno in cui viene celebrata la donna, l’8 marzo, per chiederle cosa pensi di questa festività. Una domanda apparentemente banale, ma che sicuramente racchiude qualcosa di importante…

“Dirò una cosa banale probabilmente, ma credo fortemente che non ci dovrebbe esser bisogno di una giornata per celebrare la donna. Ci si ricorda dell’importanza di qualcuno solo alle ricorrenze. Si dovrebbe ricordare l’importanza della donna nella quotidianità e, più che festeggiarla, andrebbe rispettata”.




Con lei, Alia, rispetto alle precedenti interviste, mi concentro principalmente sulla figura della donna nello sport e nel calcio femminile. Parto dagli altri sport, dalla pallavolo all’atletica, dalla boxe al basket, dal ciclismo fino ad arrivare al rugby (lascio da parte il tennis, che è lo sport femminile più pagato). (quasi) tutti sport che regalano (ancora) più appeal al maschile e che denotano disparità tra uomo e donna. Perché?

“La disparità di genere nello sport è il risultato di stereotipi culturali che ci portiamo dietro da tempo immemore. Si è sempre associato all’idea di atleta le caratteristiche di forza, resistenza, aggressività anche, da sempre associate all’uomo. E vista in questa ottica la donna non ha mai potuto competere con l’uomo. Ma rimanere ancorati a stupidi pregiudizi, oggi, denota soltanto tutti i nostri limiti. Ci siamo evoluti e siamo capaci di comprendere che l’atleta è molto più di una semplice espressione di forza, e questo vale sia per gli uomini che per le donne”.




Arrivo al calcio, dove la discriminazione tra femminile e maschile, in Italia, è ancora tangibile, nonostante sia stati fatti passi in avanti negli ultimi 10 anni, prima grazie alla normativa che obbligò i club di serie A di dotarsi di una squadra femminile nel 2015, poi al passaggio al professionismo nel 2022. Dicevamo, nonostante i passi in avanti fatti dal movimento grazie all’impegno di tante calciatrici (te compresa), ancora il calcio femminile non è riconosciuto al pari di quello maschile. A lei, che ha vissuto il calcio dilettantistico e la crescita del movimento fino al professionismo, chiedo cosa è possibile fare per crescere ancora da questo punto di vista, ovvero del riconoscimento della parità tra uomo e donna nel calcio, anche dal punto di vista salariale…

“In Italia, qualsiasi sport diverso dal calcio maschile è considerato uno sport minore e noi non siamo da meno purtroppo. Finalmente, dopo molte lotte, siamo diventate professioniste, ma questo non significa che ci si possa paragonare ai professionisti uomini a livello di supporto o stile di vita. Mettiamo la stessa passione e lo stesso impegno, ma ci sono ancora tante difficoltà da superare. Dal punto di vista salariale non credo sia possibile raggiungere la parità, il calcio maschile ha degli interessi dietro, per noi inavvicinabili. Ma potremmo iniziare a insegnare ai nostri figli la normalità di una bambina che gioca a calcio e mostrare le calciatrici per quello che sono: delle atlete che meritano rispetto. Sarebbe già un buon inizio”.




Voi calciatrici vi siete battute e vi state battendo per un diritto che travalica i confini dello sport e diventa una battaglia di civiltà per affermare la pari dignità dello sport femminile e delle donne. È giusto?

“Siamo state il primo sport femminile in Italia a diventare professionistico. Nel 2025 ci si dovrebbe stupire di questo, invece se ne parla ancora troppo poco. Facciamo lo stesso lavoro: perché a noi donne non deve essere riconosciuto e tutelato? Mi auguro che il calcio femminile sia solo il primo di una lunga lista. Ci meritiamo di più”.




Quanto le davano fastidio la discriminazione di genere e le etichette accreditate, in campo e fuori dal campo?

“Ormai ho le spalle larghe e sono abituata ai commenti stupidi della gente che continua a ripetermi di tornare in cucina (ironico). Una cosa che non accetterò mai è come venga sempre e comunque sessualizzato il corpo di una donna. E i media, in questo, non aiutano: si concentrano più sull’aspetto fisico delle atlete che sulle loro prestazioni. Sono una calciatrice, se proprio ci tieni a giudicarmi, fallo per il mio rendimento o le mie qualità in campo, non per come porto i capelli o con chi esco la sera a cena”.




Allargo le domande dallo sport, dal calcio, alla vita quotidiana, al sociale. E le chiedo: perché una donna, nel 2025, non può arrivare a guadagnare quanto percepisce un uomo, se svolge la stessa mansione?

“Si ritorna sempre ad un problema di retaggio culturale. Si vuole sempre cercare di relegare la donna ad un ruolo minore o di contorno, per così dire. Non parlo di calcio, perché ci sono tante componenti diverse in gioco, ma immaginate due persone che fanno le stesso mestiere, il medico: perché un medico uomo dovrebbe guadagnare il triplo di una donna (cosa che attualmente succede quasi sempre in Italia) a parità di qualifica, competenze e rendimento? Io una risposta non so darmela sinceramente”.




Infine le chiedo: quando si parla di violenza sulle donne, lei a cosa pensa? Quali sono – femminicidi a parte – gli atti di violenza di cui ha più paura non per se stessa in particolare, ma per tutte le donne in generale? E cosa vorrebbe che la politica o le istituzioni facessero per sradicarla dalla società di oggi?

“Se ne sente troppi di atti di violenza contro le donne. Violenze non solo fisiche, ma anche e soprattutto psicologiche. Io sono la persona più fortunata del mondo e ringrazio per questo, ma ho visto da vicino gli effetti che il controllo psicologico ha sulle persone. Non si parla solo di uomini che picchiano o uccidono le donne, ma di uomini che tengono le donne sotto controllo. Si parla troppo poco di violenza psicologica, ovvero manipolazione o umiliazione, sia sul posto di lavoro che a casa. Ma anche violenza economica: penso a un genitore che sfrutta la dipendenza economica della figlia per controllare la sua vita. Sono atti disumani, e bisognerebbe imparare a riconoscerli e punirli nella maniera più adeguata”
Condividi
La funzionalità è stata disattivata perché si avvale di cookies (Maggiori informazioni)

Attiva i cookies