La rubrica di Rocío Rodríguez Reina

Leggendo i giornali spagnoli mi trovo con una notizia che mi sconvolge per diversi motivi. La notizia in questione è che secondo uno studio recente, il quaranta per cento dei genitori in Spagna usa l’intelligenza artificiale per aiutare i propri figli a fare i compiti. E i motivi per cui mi sconvolge passano dal rendermi conto di essere vecchia per non saper usarla al realizzare che ancora ci sono genitori che fanno i compiti con i figlioli.

Non sono ovviamente una psicologa infantile, nemmeno Maria Montessori o laureata in pedagogia, ma sono una mamma di due bambini di età diverse e la mia esperienza con i compiti non miei non è esattamente positiva. I miei genitori non mi hanno mai aiutato a fare i compiti, forse perché a mala pena hanno potuto studiare fino alla prima superiore, forse perché non avevano mai tempo o forse perché gli faceva fatica, ma non sapevano nemmeno cosa avevo da fare o se avevo una verifica il giorno dopo. La gestione della scuola, poi del liceo e poi della università era solo mia, loro volevano solo vedere le pagelle a fine anno e soprattutto non essere mai chiamati dalla scuola perché l’avevo combinata, sennò erano cavoli. Così sono cresciuta e così faccio con i miei figli. I miei motivi sono ben diversi a quelli che avevano i miei genitori. Non mi vergogno a dire che non gli do una mano perché non mi va. Non ho voglia e soprattutto non ho pazienza in quel senso. Solo all’idea di stare seduta accanto a loro davanti ai libri mi viene una tachicardia, ci sono già passata e non voglio ritornare agli anni di ore alla scrivania. Non sta a me ora. È il suo turno, e come ho sofferto io, devono farlo loro. Avete presente la tipica espressione “vivo per dare ai mie figli la vita che io non ho avuto”? beh, io no. Io spero che loro sappiano riconoscere il volto di una maestra arrabbiata, spero che in qualche momento abbiano un brivido che li trascorre la schiena all’accorgersi di aver dimenticato i compiti. Spero che sbaglino e che poi tirino fuori il coraggio di chiedere al maestro una cosa che non capiscono davanti a tutta la classe. Vorrei che sentissero la frustrazione di non saper fare tutto alla perfezione e, soprattutto, si rendessero conto che le cose non vengono quasi mai al primo tentativo. Voglio vederli orgogliosi di una sufficienza e difenderla a morte davanti a me perché si rendono conto che quella matteria non è proprio per loro. Vorrei che avessero una vita tutta sua e costruissero piano piano il suo futuro, sbagliando tanto e alzandosi altrettanto. Vorrei sapessero cosa è la responsabilità e vorrei sapessero uscire da soli dalle situazioni difficili, che sinceramente, quando sono piccoli, in generale non sono cosi gravi.

Devono sapere usare la loro intelligenza, e non quella artificiale, perché il cervello va allenato e per i problemi della vita non ci sarà sempre a disposizione (purtroppo) l’intelligenza artificiale. È vero che l’uso della IA può semplificare la vita già troppo impegnata dei genitori, però, e se il problema dei compiti non esistesse? O meglio, se fosse un problema solo dei bambini e non nostro? Ora vado a chiedere all’intelligenza artificiale cosa ne pensa.

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