Non ci credo (ancora)

Un film già visto e una sconfitta che fa malissimo

É difficile scrivere un parere dopo una beffa del genere. Il gol del Olympiacos nei minuti finali, proprio come un anno fa, ha lasciato tutti senza parole. Ora che pensavamo di essere più pronti, più determinati e più affamati. Ora che pensavamo di avere più esperienza nelle finali, di avere giocatori più incattiviti. Si, proprio ora. Vedere le lacrime dei giocatori e membri dello staff fa male, ma ancora di più vedere quelle lacrime nei volti dei tifosi. Se penso ai sorrisi, alle battute, a come erano fiduciosi prima della partita mi viene solo da pensare come si fa a dirgli che non e finita qui. Che l’anno scorso pensavamo fosse l’ultima opportunità, e non è stato così. Come si fa a spiegargli che verrano giorni migliori, come è sempre successo. Che la storia di questa squadra ti racconta che si può cadere ma è obbligatorio rialzarsi. Che l’amore per la Viola sarà sempre e comunque fortissimo. Le ore dopo una sconfitta del genere sono sempre molto difficili, ma passerà anche questa volta. E ci rialzeremo come lo abbiamo sempre fatto. Certo, verrano giorni di analisi e critiche. Giorni di cambiamento. Giocatori che andranno via e che verrano, forse un nuovo allenatore. Ma la cosa certa è che ad Agosto il campionato riparte, e ripartono nuove illusioni.

Finalmente Finale

Un percorso da godersi dall’inizio alla fine

Ed eccolo qua, il giorno della Finale. Chi l’avrebbe detto un anno fa dopo la finale di Praga, e chi l’avrebbe mai detto forse anche qualche mese fa. Atene e la casa del Olympiacos, si, ma oggi è anche un po’ la casa dei tifosi viola. Perché oggi tutti vorrebbero essere ad Atene, perché giri la città e incontri tanti amici, tanti volti conosciuti. Maglie viola ovunque e sorrisi a trentadue denti. Sorrisi che forse nascondono anche un po’ di tensione, ma quella ci sta ed è anche bella, perché vuol dire che si é capita l'importanza di una finale europea, anche se Conference League e anche se è la seconda di fila. Durante la calda giornata di oggi, noi giornalisti abbiamo girato la città per raccontare quale fosse lo stato d’animo dei tifosi. Non ho trovato uno che avesse brutte sensazioni per la partita di questa sera. Sono tutti fiduciosi e consapevoli che qualcosa sia cambiata dal anno scorso. La cattiveria, la voglia, la rabbia e la determinazione sono le parole più sentite tra le persone che hanno preso un aereo per essere oggi ad Atene a tifare la sua squadra del cuore. Ed è giusto essere positivi, aver la voglia di vincere e non pensarci alla sconfitta. Bisogna godersi ogni momento, dal pre partita a (si spera) il post partita. Perché come succede alla maratona, il lavoro più tosto si e già fatto, i mesi di allenamento sono alle spalle e ora tocca solo fare quello per cui ti sei preparato. Nel caso della maratona, finirla. Nel caso della Fiorentina, vincere.

[FeD ATENE] Un giorno alla finale

E la voglia di vedere Atene viola

A fare l'inviata a un evento come una finale europea si dorme poco (e si mangia meno). Arrivi, devi scrivere, devi fare le foto, contenuti per i social, collegamenti in radio, camminare, risolvere beghe tecniche e litigare con i coinquilini di appartamento. A dirlo cosi, potrebbe sembrare un incubo, o una sorta di tortura (sopratutto per la parte con i coinquilini) ma in realtà è molto motivante. Questa mattina, dopo un discutibile caffè, ci siamo messi al lavoro. Il primo tifoso che abbiamo incontrato non era della Fiorentina però, ma il tassista che ci ha portato allo stadio della finale e che tifava rigorosamente Olympiacos. Anche se ha detto di essere fiducioso, in realtà il suo volto diceva il contrario. Noi invece, ci siamo subito esaltati quando abbiamo visto un ragazzo su un motorino con la maglia di Batistuta. Che fosse un tifoso del AEK che tifa solo contro l’Olympiacos o un tifoso della Fiorentina già pronto per la partita di domani, a noi non ci è cambiato niente e siamo partiti in coro: “La maglia della Fiorentinaaaaaa”, quasi come se fossimo sorpresi di vedere la maglia di una delle squadre che domani giocano la finale. Sarà perche le raccomandazioni della UEFA di non indossare le maglie di calcio ci hanno intimorito un po’. Questo sicuramente cambierà nelle prossime ore e vedremo un fiume viola per le strade di Athene. Dopo quaranta minuti di taxi siamo arrivati allo stadio per la rifinitura della Fiorentina. Uno stadio nuovo di 30.000 posti che ti fa pensare il solito “ma perché noi no?”, ma questo discorso lasciamolo stare ora. La squadra, almeno per quello che abbiamo visto, sembrava serena, tranquilla. Qualche risata e applausi durante il torello. Domani sarà un altro giorno, il giorno della finale, la Finale. 

[FeD ATENE] Diario di un'inviata ad Atene

La fortuna di seguire la Fiorentina

A sedici anni decisi che da grande avrei voluto fare la giornalista, forse anche prima. Seguire il calcio era il mio sogno e per fortuna, e forse anche tanto lavoro, sono riuscita a farlo. Seguire una finale europea è una di quelle cose che ho sempre voluto fare. Girare la città trovando notizie e parlando con i tifosi e raccontare i giorni di gioia che precedono la partita mi fa tornare all’epoca del grande Real e a quei racconti dei grandi giornalisti che duravano ore e ore. Questa volta tocca a me. E non credo sia banale raccontare il calcio. In questi giorni, noi giornalisti entriamo nelle case dei tifosi e gli tocchiamo dei sentimenti che a volte solo col calcio riesci a toccare. Si tratta di felicità, di gioia, di ricordi del babbo o del nonno che ti ha portato allo stadio per la prima volta. Di quella prima maglia regalata a un compleanno, del primo gol visto dal vivo. Ora sono ad Atene e inizio a respirare quell'area tesa che allo stesso tempo ti fa stare bene, perché l'attesa della partita è sempre una cosa bellissima. Più di novemila tifosi della Fiorentina sono attesi qua, alla città del Partenone, tifosi che sognano un trofeo che manca da tanto e che vivono questa trasferta anche come un momento per stare con amici e famiglia.Momenti che pero sono poi indelebili, perché comunque vada, bisogna godersi ogni singolo minuto di questa fantastica attesa. Tifosi viola, vi aspetto ad Atene.

È solo calcio

La rubrica di Rocío Rodríguez Reina

È solo calcio, ma piangiamo se la nostra squadra arriva in finale. È solo calcio, ma ci emozioniamo quando vediamo i nostri figli felici che urlano a squarciagola. È solo calcio, ma ci troviamo a mezzanotte stanchi morti a cercare voli e alberghi per accompagnare la nostra squadra in trasferta. È solo calcio, ma riusciamo a provare dei sentimenti che vanno dai più belli ai più brutti. È solo calcio, ma facciamo dei sacrifici folli per seguire la squadra che amiamo. È solo calcio, ma è la scusa perfetta per passare del tempo con le persone a cui teniamo e costruire ricordi che ci porteremo per sempre nel cuore. È solo calcio, ma è il tema preferito quando andiamo a prendere il caffe o a cena con amici. È solo calcio, ma riesce a farci litigare e poi fare pace. È solo calcio, ma ci unisce con migliaia di persone. È solo calcio, ma siamo disposti a fare di tutto e di più per vedere una partita. È solo calcio, dicono, ma noi lo mettiamo davanti a tante cose. Ma non è che alla fine aveva ragione il calciatore Bill Shankly? “Alcuni credono che il calcio sia una questione di vita o di morte. Sono molto deluso da questo atteggiamento. Vi posso assicurare che è molto più importante di quello”. Buona finale Firenze.

Firenze e le sue eccellenze sportive

La rubrica di Rocío Rodríguez Reina

Lo dico sempre, la Fiorentina è Firenze e Firenze è la Fiorentina. Ma c’è di più! Questi ultimi anni mi sono appassionata alla pallavolo e perché? Perché a Firenze abbiamo la fortuna di avere due squadre femminili in serie A, la Savino del Bene e il Bisonte. La prima si è giocato lo scudetto la settimana scorsa contro il Conegliano e vedere il palazzetto pieno, con i tifosi a sostenere la squadra, è stato veramente bello. A volte dimentichiamo quanto sia importante avere diversi sport al primo livello nella propria città. Lo è perche il nome della città gira il mondo grazie alle squadre, ma soprattutto perché per chi vive qua, li fa sentire ancora di più il senso di appartenenza. Sarebbe banale dire che bisogna sostenere lo sport in generale, i meno seguiti, le categorie inferiori, su questo non c’è dubbio. Ma andare a tifare una squadra di qualsiasi sport che rappresenta la eccellenza e qualcosa di magico. Senti orgoglio. Le ragazze della Savino del Bene in particolare, hanno fatto un campionato pazzesco e vedere i suoi volti, alcune con le lacrime, dopo la sconfitta di sabato scorso, fa male. Ma lo sport è cosi. Personalmente mi sento di dover ringraziare tutte le giocatrici delle due squadre di serie A di Firenze. Non mi avevo mai avvicinato alla pallavolo come ora, solo qualche partita durante le olimpiadi, ma grazie a loro ho scoperto uno sport bellissimo in tanti sensi. Mi piace l’agonismo, la grinta, le schiacciate. Ma mi piace anche il suo modo di vivere questo sport. Sempre col sorriso durante la partita, sempre parole incoraggianti tra di loro. Per non parlare dei tifosi. Alla fine della partita di sabato scorso, dopo una quindicina di minuti di giusti festeggiamenti da parte del Conegliano, i suoi tifosi hanno cominciato a cantare “Scandicci, Scandicci…”, e tutto il palazzo Wanny ha risposto con applausi. Una scena bella di sport che purtroppo non si vede spesso ultimamente. Io sono per gli sfotto, per l'ironia e per il prendersi in giro in modo rispettoso. Ma quanto sarebbe bello che dopo le partite di calcio si potesse andare a prendere una birra tutti insieme?

Sei femminista? Hai rotto le scatole

La rubrica di Rocío Rodríguez Reina

Mi trovo spesso a difendere teorie femministe. A spiegare ad amici e ascoltatori della radio perché certe cose non si devono dire o vengono cambiate. Mi trovo molto spesso di fronte a persone che mi dicono di essere noiosa perché ad ogni occasione voglio puntualizzare o difendere le donne. Ma perché dopo secoli di maschilismo se ora si parla di femminismo si rompe le scatole? Perché diamo noia? Ho provato a trovare una risposta a queste domande ma o non le trovo o la risposta non mi piace a mi fa stare male. Questo articolo non vuole spiegare cosa è il femminismo, perché tutti dovrebbero esserlo o l'importanza di cambiare le cose. Ma vuole solo essere incoraggiante per chi come me, lotta ogni giorno per la egualità. Non mollate. È molto importante che tutti continuammo a lavorare per costruire un mondo diverso e ancora, purtroppo, molto lontano. Vi sentirete dire che siete noiosi o che avete rotto le palle, ma non smettete mai di gridare che certe cose non vanno bene anche se si sono sempre fatte o dette. Il maschilismo non è mica una tradizione che si deve rispettare. Non deve essere una normalità che Berrettini vinca un torneo dopo tanto tempo e si parli ancora della sua ex fidanzata collegando la fine del rapporto sentimentale con la rinascita del tennista. Io non ci sto, e non starò mai zitta davanti a queste cose. E se vi da noia, fatevi una domanda.

A te e famiglia

La rubrica di Rocío Rodríguez Reina

Dopo aver sopravvissuto al Natale….eccoci qua Pasqua! (e Pasquetta). Non intendo parlare in questo articolo della quantità di cibo mangiato durante il periodo natalizio, le cene, i brindisi, gli aperitivi, lo shopping sfrenato, i regali…ma voglio parlarvi dei messaggi su WhatsApp. Durante il mese di dicembre e anche un po’ di gennaio, appaiono su ogni dispositivo al mondo messaggi di auguri anche da numeri che non abbiamo nemmeno salvati nella rubrica. Gente che non ti ha mai scritto una parola, gente mai vista in anni. Messaggi palesemente copiati ed incollati, senza anima e anonimi da un punto di vista emozionale. Questa settimana, preparatevi, perché sarà uguale. Ai messaggi scritti, aggiungete anche stickers, foto e video. C’è tutta una produzione sempre piu curata per mandare un messaggio di augurio a tutti gli sconosciuti della rubrica. E io mi lamento perché questi messaggi li devo aprire. Penso sempre siano qualcosa di importante, o qualcuno che ha bisogno di qualcosa. E invece no, “buona pasqua a te e famiglia”. Di solito, in questi casi, chiudo la chat senza rispondere. Ma a volte penso che posso passare da maleducata. Mi chiedo anche cosa dovrei rispondere a un messaggio che non era nemmeno specificamente per me, perché chi mi conosce sa che io non ci tengo in assoluto a ricevere questi tipi di messaggi. Non mi offendo se non mi arrivano ma neanche penso che sia un pensiero carino se mi arrivano. Non mi smuovono. La mia opinione sul mittente non cambia di certo per un messaggio inoltrato. Quindi a tutti i miei amici, conoscenti, sconosciuti che hanno il mio telefono: non importa, grazie. Magari sentiamoci più avanti, quando le linee telefoniche non sono intasate d’ipocrisia.

I contro di vivere nella città più bella del mondo (ed essere straniera)

La rubrica di Rocío Rodríguez Reina

“Vivi a Firenze? Wow! Veniamo a trovarti eh?”. Queste erano le parole più sentite quando ritornavo a Madrid e incontravo vecchie amicizie o conoscenti che all’improvviso si trasformavano in amici stretti. Essere straniera a Firenze vuol dire che hai tanti parenti, amici, ex colleghi, ex compagni ecc. che sono nel tuo paese e non conoscono quella che per tanti è la citta più bella del mondo. Quindi, trovano in te il momento e il modo giusto per venire a Firenze e farsi un po' di giorni di vacanze. Le prime volte che qualcuno si autoinvitava a casa mia, non riuscivo a dire direttamente di no e quindi diciamo che la prendevo lunga. Inventavo altri ospiti nelle date che mi venivano proposte oppure inventavo che non c’ero per motivi assurdi. Ci sono sempre stati due tipi di questi finti amici, chi mollava dopo un po’ capendo la espressione della mia faccia, e quelli che non mollavano mai e ti martellavano fine lo svenimento. Io, devo dire, me la sono quasi sempre cavata alla grande e non ho avuto quasi mai ospiti indesiderati a casa. Quasi.Forse state pensando che sono un po’ maleducata o poco ospitale, ma vi assicuro, che non è minimamente gestibile avere ospiti a casa ogni due per tre. La prima cosa che devi fare è segnare sempre chi viene e quando o rischi di trovarti una prenotazione raddoppiata. Per fortuna questo non mi è mai capitato essendo abbastanza organizzata. Una volta che gli ospiti arrivano, devi farli fare i tipici giri in città, ma la cosa più impegnativa è quando ti chiedono di fare qualcosa non da turisti. Dentro di me pensavo sempre: “Ma vorranno andare a fare la spesa? A prendere i bambini a scuola? Considerano restare a casa e andare al letto presto non da turista?”. Invece intendevano fare cose fighissime in posti nascosti e quasi segreti, magari anche fuori città. Ovviamente, durante tutto questo tu fai anche l’autista visto che chi arriva, viene da lontano e deve arrivare con l’aereo. Ti svegli la mattina e subito ti chiedono cosa prevede il programma, e se non rispondi entro cinque secondi ti propongono gite scomode o visite dove devi fare 2 ore di coda perché ovviamente loro non hanno prenotato niente pensando che tu sia una guida turistica. Parliamone del fatto di aver visto le stesse cose duecento volte, che, non mi fraintendete, mi fa piacere, anzi, piacerissimo andare in centro e godermi la città, ma dalla quindicesima volta che sono andata alla torre di Pisa a fare le solite foto, mi sono giurata di non tornare mai più. Prendi la macchina, vai a Pisa, trova parcheggio, fai le foto (sei anche la fotografa ufficiale i quei giorni) riprendi la macchina e torna a Firenze. Poi, all’improvviso senti una conversazione al telefono con i suoi amici o genitori che sono in Spagna e vogliono sapere come stia andando: “sai, oggi si è fatto poco”. Ed e lì che gli insegni come s’impreca a Firenze.

La crescita del movimento del padel a Firenze

La rubrica di Rocío Rodríguez Reina

Nel 2012, quando arrivai a Firenze, portai con me il borsone con la racchetta di padel. Dopo un paio di settimana chiedendo in giro dove potesse giocare, mi resi conto che a Firenze non esisteva proprio. Le persone appena ascoltavano la parola padel mi guadavano stranite e rispondevano: cosa??!!! E io provavo a spiegare in un italiano più che basico cosa fosse questo sport. Niente, mai sentito e mai visto in toscana. Dopo qualche anno, possiamo dire che la storia è cambiata, e come. Campi ovunque, circoli nuovi, squadre, tornei. Un vero e proprio movimento che non smette (e credo non smetterà ancora) di crescere. I più reticenti, forse i tennisti, sono cascati nella rete di questo sport che coinvolge tutti. Uno sport che può fare chiunque, come i giochi da tavola per tutta la famiglia, da 4 a 99 anni. Ci sono padelisti che non hanno mai fatto uno sport con la racchetta in vita sua, oppure quelli forti forti che fanno tornei e vanno in giro togliendosi delle belle soddisfazioni. C’è il campionato a squadre che parte dalle serie D, dove si crea qualcosa che va oltre allo sport e si creano delle amicizie vere come è successo alla sottoscritta. Una prova di quanto stia crescendo il Padel a Firenze, ci sarà il prossimo 9 Marzo. Il primo Gran Gala del Padel toscano. Nato e organizzato da un gruppo di amici, “la casta del padel”, che con la partecipazione della federazione italiana, ha voluto valorizzare e premiare l'eccellenza in questo sport. Una serata aperta a tutti gli amanti del padel, a tutti i circoli e perché no, a tutti quelli che sono curiosi di capire il perché del boom di questa disciplina. Poi, come in ogni partita di padel amatoriale, ci sarà il divertimento dopo. Cibo e musica per condividere una passione che, speriamo, non perda mai i valori con cui è nata. Amicizia, attività fisica e inclusione.

La perdita del rispetto e l'educazione

La rubrica di Rocío Rodríguez Reina

Ci troviamo spesso a parlare delle nuove generazioni, di come sono diverse a quelle precedenti per quanto riguarda l'educazione e i valori. Sentiamo dire che i giovani abbiano perso il rispetto di tutto, che non esista piu l'educazione o che non sappiano stare al mondo. Io stessa lo penso tante volte. Ma ultimamente mi trovo davanti a tante cose, forse piccole cose, che mi fanno tanto arrabbiare e soprattutto riflettere sul fatto che noi adulti abbiamo questa così detta buona educazione. Dettagli nella vita quotidiana che pero ti fanno capire il perché di questa società dove in generale nessuno pensa all’altro e tanto a sé stessi. Vi faccio un esempio. Ero in palestra, negli spogliatoi, mi stavo cambiando e accanto a me c’era una donna più o meno della mia stessa età. Accanto ai nostri armadietti, una sola panchina, grande, tanto grande per fare entrare tutti e due e le nostre cose. Guardo e provo ad appoggiare la mia borsa, ma non entra. La donna in questione ha preso tutto lo spazio con un super borsone e le sue cose appoggiate ovunque. Accappatoio, beauty, vestiti…Appoggio la mia borsa per terra e inizio a cambiarmi sperando che lei si renda conto che non è da sola in palestra. Lei, con calma, fa le sue cose e non si muove di un millimetro. E cosi inizio a usare lo sguardo da serial killer per provare a farle capire. Niente. Il nulla. Anzi, va verso la doccia e lascia tutto in mezzo. In quel momento penso a buttare tutte le sue cose per terra, ma mi trattengo all’ultimo senza capire il perché. Forse non sono come lei? Forse non voglio creare un conflitto per una sciocchezza? Ma è veramente una sciocchezza? Perché devo stare io scomoda solo per il fatto che una persona non pensi minimamente agli altri? Mi faccio mille domande ma non reagisco. Finisco di cambiarmi e vado via. Io in macchina arrabbiata col mondo e le persone, lei, sicuramente, rilassata dopo una doccia calda in una palestra spaziosa e silenziosa. E, anche se so che non è una questione importante, che purtroppo ci sono cose molto più delicate nella vita, non riesco a pensare che alla fine ha vinto lei. Che io, persona con un minimo di educazione, ho dovuto cedere il mio confort a una sconosciuta che non ha nemmeno apprezzato. Che non ci ha pensato nemmeno un secondo a chi fosse accanto a lei. Se avesse bisogno o se qualcosa potesse darle noia.  E questo è solo un esempio, una banalità che pero insieme a tante altre fanno di questo mondo un mondo sempre più brutto. Fateci caso. Al supermercato, in macchina, al lavoro, camminando per strada. Siamo circondati di piccoli dettagli, dettagli che però, fanno la differenza. E ricordate, se si vuole cambiare qualcosa, bisogna iniziare sempre dalle piccole cose.

Lo sport e le bambine

La rubrica di Rocío Rodríguez Reina

L’importanza dello sport per la salute la conosciamo tutti, poi c’è chi, come con le sigarete o l’alcool, decide di seguire i parametri consigliati oppure no. Da adulti, facciamo una scelta propria, ma da bambini, nell’avvicinamento allo sport sono fondamentali i genitori. Facendo una ricerca su questo tema leggo che i bambini in Italia non sono pigri e una percentuale alta fa qualche sport. Il problema viene dopo, quando sono in una età tra i 12 e i 16 anni. Un numero spaventante di ragazzi decide di smettere, soprattutto le femmine. Non si sentono all’altezza, si sentono a disagio, si vergognano se non riescono a essere brave e hanno paura di non saper gestire i mille impegni di scuola. Da mamma, lo ammetto, mi terrorizza che mia figlia un giorno all’improvviso non abbia più voglia di fare attività fisica. Mi chiedo come posso fare per inculcarle i veri valori dello sport. Ovviamente, come con tutto nella vita, non c’è cosa migliore che l’esempio. Provo a essere la prima ad avere una vita sportiva, a farle vedere che lo sport è divertente anche quando non si vince o non sei un fenomeno (e lo dice una che nella vita fa tanti sport, alcuni in modo poco dignitoso). Provo a insegnarle che bisogna dare il cento per cento ma che, comunque, a volte i resultati non arrivano. Che la frustrazione, proprio per la mancanza di successi, è un sentimento che bisogna saper gestire perché se lo ritroveranno anche a scuola, a lavoro o nella vita sentimentale.Con i fatti, ho sempre provato a farle vedere che non si molla al primo imprevisto. Che, di solito, non è facile arrivare a certi traguardi e che se vuoi raggiungere qualcosa, anche le piccole gioie, bisogna lavorare tanto, ma tanto tanto. Ma soprattutto le insegno a rispettare anche chi ha più difficoltà. Lo sport deve essere inclusivo, soprattutto quando si parla di bambini. Non c’è cosa più bella di lottare da squadra, di remare insieme ai compagni per un obiettivo. Ma è anche bello battere un rivale in qualsiasi sport e rispettarlo. Tutto questo non è sicuramente facile da trasmettere per noi genitori, ma quando c’è in gioco la salute delle nostre figlie, ci tocca impegnarci.

Alle Cascine dobbiamo vincere noi

La rubrica di Rocío Rodríguez Reina

Sono anni che, quando posso e mi danno spazio, parlo del problema alle cascine. Sono anni che vado a correre in questo meraviglioso parco, a volte da sola, a volte in compagnia. E sono anni che vedo gli stessi problemi, anzi, sempre di più. Una delle ultime volte che sono andata era una mattina di domenica. Non troppo presto. Con i miei amici facciamo quasi sempre lo stesso giro, passando sistematicamente dalla zona chiamiamola cosi più “insicura”. Quella domenica eravamo in due e ho visto da lontano che non c’era una situazione molto sicura, e sto usando solo eufemismi. Mi giro verso il mio amico e gli dico di tornare indietro per evitare qualsiasi problema. Lui invece mi risponde: “No dai, non gliela dobbiamo dare per vinta”. E, come tutte le altre volte, passiamo di corsa vicino agli spacciatori. Per fortuna non ci è successo niente, a parte qualche sguardo sfidante e qualche parolaccia. Il ragionamento del mio amico runner mi ha fatto riflettere. Visto che non ci sono abbastanza forze dell’ordine per contenere la situazione, dobbiamo essere noi cittadini a non abbandonare il parco. Dobbiamo riempirlo, dobbiamo usarlo e godercelo. Tutto. Ogni singolo angolo. Dobbiamo andare a camminare, a correre, a passeggiare col cane, a prendere un caffè, a giocare calcio, a pallavolo o quello che ci pare. Dobbiamo vincere noi. E mi viene in mente una frase che la Fiorentina usa spesso sui propri canali social: Insieme siamo più forti. È questo il messaggio che dobbiamo trasmettere. Non vedo altre soluzioni. E lo so che vi state chiedendo perché dovete rischiare voi, perché dovete andare in un posto dove non vi sentite al sicuro. Non è giusto. Vi dico solo che il parco delle cascine è un posto bellissimo, ma lo è di più se pieno di gente.

I compiti e l'intelligenza artificiale

La rubrica di Rocío Rodríguez Reina

Leggendo i giornali spagnoli mi trovo con una notizia che mi sconvolge per diversi motivi. La notizia in questione è che secondo uno studio recente, il quaranta per cento dei genitori in Spagna usa l’intelligenza artificiale per aiutare i propri figli a fare i compiti. E i motivi per cui mi sconvolge passano dal rendermi conto di essere vecchia per non saper usarla al realizzare che ancora ci sono genitori che fanno i compiti con i figlioli. Non sono ovviamente una psicologa infantile, nemmeno Maria Montessori o laureata in pedagogia, ma sono una mamma di due bambini di età diverse e la mia esperienza con i compiti non miei non è esattamente positiva. I miei genitori non mi hanno mai aiutato a fare i compiti, forse perché a mala pena hanno potuto studiare fino alla prima superiore, forse perché non avevano mai tempo o forse perché gli faceva fatica, ma non sapevano nemmeno cosa avevo da fare o se avevo una verifica il giorno dopo. La gestione della scuola, poi del liceo e poi della università era solo mia, loro volevano solo vedere le pagelle a fine anno e soprattutto non essere mai chiamati dalla scuola perché l’avevo combinata, sennò erano cavoli. Così sono cresciuta e così faccio con i miei figli. I miei motivi sono ben diversi a quelli che avevano i miei genitori. Non mi vergogno a dire che non gli do una mano perché non mi va. Non ho voglia e soprattutto non ho pazienza in quel senso. Solo all’idea di stare seduta accanto a loro davanti ai libri mi viene una tachicardia, ci sono già passata e non voglio ritornare agli anni di ore alla scrivania. Non sta a me ora. È il suo turno, e come ho sofferto io, devono farlo loro. Avete presente la tipica espressione “vivo per dare ai mie figli la vita che io non ho avuto”? beh, io no. Io spero che loro sappiano riconoscere il volto di una maestra arrabbiata, spero che in qualche momento abbiano un brivido che li trascorre la schiena all’accorgersi di aver dimenticato i compiti. Spero che sbaglino e che poi tirino fuori il coraggio di chiedere al maestro una cosa che non capiscono davanti a tutta la classe. Vorrei che sentissero la frustrazione di non saper fare tutto alla perfezione e, soprattutto, si rendessero conto che le cose non vengono quasi mai al primo tentativo. Voglio vederli orgogliosi di una sufficienza e difenderla a morte davanti a me perché si rendono conto che quella matteria non è proprio per loro. Vorrei che avessero una vita tutta sua e costruissero piano piano il suo futuro, sbagliando tanto e alzandosi altrettanto. Vorrei sapessero cosa è la responsabilità e vorrei sapessero uscire da soli dalle situazioni difficili, che sinceramente, quando sono piccoli, in generale non sono cosi gravi. Devono sapere usare la loro intelligenza, e non quella artificiale, perché il cervello va allenato e per i problemi della vita non ci sarà sempre a disposizione (purtroppo) l’intelligenza artificiale. È vero che l’uso della IA può semplificare la vita già troppo impegnata dei genitori, però, e se il problema dei compiti non esistesse? O meglio, se fosse un problema solo dei bambini e non nostro? Ora vado a chiedere all’intelligenza artificiale cosa ne pensa.

Si può vivere con la paura costante?

La rubrica di Rocío Rodríguez Reina

Nasciamo, abbiamo paura e poi moriamo. Potrei chiudere l’articolo qua, ma proverò a spiegarmi. Passiamo la nostra vita avendo paura di tutto. Da piccoli del buio, di rimanere da soli, dell’amico bullo, di un Babbo Natale cattivo che non ci porterà quello che gli abbiamo chiesto. Cresciamo un po’, e le paure che ci sembravano banali si trasformano in cose più serie. Paura di essere bocciati, di arrivare a casa in ritardo e beccare una punizione, paura di un no del ragazzo o ragazza che ci piace, paura dei maestri, paura di sbagliare sia a scuola che nello sport che più ci piace. Col passare degli anni, alcune di queste paure rimangono e se ne aggiungono altre, sempre più pesanti e influenti nella nostra vita e nelle nostre decisioni.Paura di non avere o perdere il lavoro, di non arrivare a fine mese, di non poter comprare casa o aiutare i nostri genitori anziani nei momenti di difficoltà. Se sei una donna, avrai o dovrai aver paura di camminare da sola per strada, di dire cose o affrontare argomenti che non vengono ritenuti consoni a una donna per bene. Avrai paura di dire no, di sembrare antipatica oppure troppo aperta. Avrai paura del giudizio degli altri. Paura anche di perdere il tuo lavoro perché sei rimasta incinta, oppure paura di essere rimasta incinta e diventare mamma. Ed eccoci qua, il momento più brutto in questo senso. Le paure dei genitori. Potrei elencare una lista quasi infinita di tutte quelle cose che ci fanno soffrire quando siamo genitori: la salute, le droghe, se vanno in motorino, se frequentano gli amici giusti, paura di non crescerli con i valori giusti, paura di non renderli felici. Ma dalle cose più generali, possiamo andare più nel concreto e guardarci attorno nella città dove viviamo. Inutile dire che siamo in una città bellissima, che ci dà tanto ma ultimamente ci dà anche tanta insicurezza. Ho paura di andare a correre alle Cascine da sola, di lasciare la bicicletta parcheggiata e legata e non trovarla più, di essere derubata mentre cammino in centro. Ho paura di andare alla stazione se è buio e di arrivare in ritardo al lavoro perché hanno chiuso le strade. Ho paura delle baby gang e di certi ragazzi che, quando gli passo accanto, mi guardano e mi prendono in giro. Ho paura che la città perda la sua essenza, la sua purezza e le sue tradizioni, che non sia più la città che ho conosciuto dodici anni fa. Ho paura dell’inflazione, di andare a fare la spessa e spendere una cifra che nemmeno in via Tornabuoni. Insomma, troppe paure. Si può vivere così? Diciamo che ci abituiamo.