La bussola del risparmiatore fiorentino

L’analisi dell’esperto per capire come si muovono i mercati

L'impressionante rialzo dell'indice S&P 500, che nelle ultime 25 sedute ha registrato un guadagno superiore al 18%, non rappresenta semplicemente una ripresa tecnica dei mercati americani. Al contrario, questo movimento riflette una significativa svolta geopolitica e commerciale tra Stati Uniti e Cina, con implicazioni rilevanti per l'intera economia globale.Il recente allentamento delle tensioni commerciali, culminato nella temporanea sospensione dei dazi americani e cinesi per un periodo di 90 giorni, segna una chiara inversione rispetto alla politica aggressiva finora perseguita dagli USA, ma di questo ne ho già parlato spesso.Opportuno ribadire che, questo cambiamento di direzione, sottolinea una crescente consapevolezza delle interconnessioni globali e della fragilità degli equilibri economici internazionali.Ma torniamo a Wall Street!Storicamente, rally superiori al 18% in sole 25 sedute, hanno sempre anticipato fasi di crescita prolungata: negli ultimi cinque casi dal 1970, infatti, l'S&P 500 ha mediamente guadagnato oltre il 30% entro un anno, vale a dire nei successivi 250 giorni di trading, con punte superiori al 40%.Interpretare l'attuale situazione soltanto alla luce dei precedenti storici potrebbe essere fuorviante. L'attuale rally non è solo la conseguenza di fattori tecnici o ciclici, bensì riflette una più profonda ridefinizione delle dinamiche commerciali internazionali.La decisione statunitense di moderare l'approccio tariffario, dimostra come anche le economie più solide e assertive siano vulnerabili alle conseguenze negative della guerra commerciale: inflazione importata, perturbazioni delle catene logistiche globali e rallentamenti della crescita economica. Gli investitori internazionali hanno accolto con favore questa distensione, scommettendo sulla resilienza dell'economia globale e sulla capacità delle istituzioni finanziarie di adattarsi rapidamente ai cambiamenti politici.Questo scenario apre interessanti prospettive anche per le economie emergenti e per il commercio internazionale. Una maggiore prevedibilità nelle relazioni commerciali USA-Cina favorisce, infatti, il ripristino di una certa stabilità nelle catene di approvvigionamento, da tempo perturbate dalle incertezze tariffarie. Settori strategici come tecnologia, le rinnovabili, la manifattura avanzata e logistica globale potrebbero beneficiare enormemente di questa nuova fase di distensione.Questo mio quadro positivo per Wall Street va necessariamente inserito in un contesto di pianificazione finanziaria, distinguendo nettamente i tempi dell'investimento da quelli del trading speculativo. E ricordiamoci che "quella persona" è ancora alla Casa Bianca, e per quanto i suoi consensi siano in caduta libera, in quel palazzo dovrebbe restarci per altri tre anni e mezzo: meglio non affidarsi unicamente alle giravolte geopolitiche, soprattutto se guidate da chi, diciamolo, non è esattamente famoso per la prevedibilità e la coerenza delle sue scelte!

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Erano le 5 di mattina in Italia quando nelle scorse ore la Cina ha reso noto numeri impressionanti!Le esportazioni cinesi ad aprile a fronte di un aumento atteso del 2% sono cresciute del 8,1% e questo nonostante le pesanti tariffe introdotte dagli Stati Uniti.Tutto questo segna un punto di svolta rilevante nelle dinamiche commerciali internazionali, in quanto nonostante il crollo degli scambi diretti con gli USA, diminuiti del 21%, la Cina ha saputo rapidamente riallocare immediatamente la propria produzione verso mercati alternativi, in particolare il sud-est asiatico e l'Europa, registrando aumenti rispettivamente del 21% e dell'8%.Questa capacità di adattamento strategico indica chiaramente come Pechino stia rimodellando il proprio posizionamento commerciale globale, sfruttando la diversificazione geografica per compensare la contrazione del mercato americano. Le economie emergenti come Indonesia, Thailandia e Vietnam hanno beneficiato significativamente di questa svolta, diventando punti cruciali della catena di fornitura asiatica.È proprio questo rapido adattamento a mettere l'amministrazione Trump, sotto pressione: ora è evidente che sono gli USA ad avere bisogno di raggiungere un accordo con Pechino per limitare i danni economici derivanti dalle proprie tariffe.Questa dinamica rafforza l'ottimismo riguardo ai risultati del week end sulle trattative commerciali a Ginevra.Cosa portiamo a casa da questi accadimenti?La Cina si conferma una componente essenziale per i portafogli di investimento dedicati ai mercati emergenti che beneficeranno sempre maggiormente di un dollaro debole. La solidità mostrata nell’affrontare e superare ostacoli tariffari sottolinea come l'economia cinese, nonostante le difficoltà, continui a offrire prospettive promettenti di crescita a lungo termine.In sintesi, l'attuale scenario evidenzia una trasformazione significativa nei flussi commerciali globali, guidata dalla capacità della Cina di adattarsi rapidamente agli ostacoli tariffari imposti dagli Stati Uniti. Questo riassetto sta ridisegnando le rotte commerciali internazionali, suggerendo nuove opportunità e tensioni geopolitiche che potrebbero perdurare e intensificarsi nei prossimi mesi.La comunità economico-finanziaria internazionale deve quindi prepararsi ad affrontare un panorama in cui vecchi equilibri e certezze vengono continuamente messi in discussione.Direi un'eccellente diversificazione della componente azionaria (da condividere con il Vostro consulente finanziario) da prendere in considerazione ora, non domani!

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ULTIM'ORA - L'amministrazione Trump ha deciso che non applicherà alcun dazio su smartphones, router, computer e laptop, in quello che si può definire decreto "salva Apple". Una decisione certamente importante perchè i benefici sono elevati per tutte le aziende che producono chips legati a smartphones e intelligenza artificiale. Tuttavia però la scelta di Trump potrebbe avere un forte impatto sui mercati azionari a partire da lunedì.Con l'aumento delle tariffe da parte della Cina al 125% sui beni importati dagli Stati Uniti, la guerra commerciale tra le due superpotenze raggiunge nuovi livelli di tensione. La decisione di Pechino, presa appena un'ora fa, rappresenta l'ennesima contromossa in un'escalation ormai difficilmente quantificabile. Ciò che colpisce di più, tuttavia, è la dichiarazione cinese secondo cui ogni futuro incremento di Trump sarà immediatamente seguito da una reazione analoga.Questa escalation non è solo politica, ma sta provocando immediate e tangibili ripercussioni sui mercati finanziari globali. L'impatto più diretto riguarda i consumatori americani. La volatilità del dollaro, che ha sfiorato quota 1,15 contro l'euro, potrebbe aggravare ulteriormente l'inflazione importata negli USA, con conseguenze negative sul potere d'acquisto dei consumatori.Nonostante la gravità della situazione attuale, la sostenibilità di questa guerra commerciale è priva di alcun senso. Le pressioni dei mercati, dell'opinione pubblica americana e della resilienza cinese mi fanno credere che presto potrebbe essere annunciato un avvio di negoziati o una sospensione bilaterale delle tariffe.Non so se questo avverrà stasera, la prossima settimana o l’altra ancora, una cosa è certa, andare verso il blocco del commercio totale tra Cina e USA è impensabile anche per piu folle dei decisori politici.Quando ciò avverrà, l'effetto sui mercati potrebbe essere esplosivo, simile a quello osservato giovedì scorso con un balzo del 12% ed allora nessuno vorrà trovarsi fuori dal mercato o peggio ancora con posizioni al ribasso.

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Mercati sotto Shock: Dove si Arresteranno le Vendite?Il terremoto finanziario in atto sta spingendo gli investitori a confrontarsi con tre grandi interrogativi: quale sarà l'impatto diretto sulle aziende più esposte, quanto peserà il rallentamento economico e fino a che punto influirà l'incertezza politica generata dalle scelte dell'amministrazione Trump.Le aziende particolarmente colpite sono quelle che dipendono pesantemente da catene di approvvigionamento internazionali, in particolare del settore tecnologico. Accanto a queste, anche i comparti energetici e finanziari sono sotto pressione, essendo molto sensibili al peggioramento dello scenario economico generale. Questa situazione ha già causato significative perdite sui mercati azionari, con ribassi molto violenti concretizzatisi in sole poche ore che hanno già quasi eguagliato il drammatico 2022 (si veda grafico nella pagina seguente).Dal punto di vista macroeconomico, il primo effetto tangibile è l'incremento della pressione inflazionistica. Le ultimissime proiezioni stimano che l'inflazione USA possa accelerare fino al 4,4%, comprimendo ulteriormente il potere d'acquisto dei consumatori, con conseguente riduzione della domanda. Ricordo che inflazione e immigrazione sono stati i 2 cavalli di battaglia che hanno consentito a Trump di vincere le elezioni.Questo scenario negativo potrebbe tradursi in una contrazione, seppur lieve, del PIL reale, mentre il tasso di disoccupazione è atteso in aumento, probabilmente fino al 5,3% entro la fine dell’anno (altro che generare milioni di nuovi posti di lavoro per gli americani).In questo contesto, la domanda principale che molti investitori si pongono è a quale livello potrebbe scattare un possibile rimbalzo dei mercati. Dopo una discesa così significativa, appare infatti naturale attendersi una reazione. Tuttavia, qualsiasi previsione non ha alcun senso, l'unica raccomandazione che mi sento di dare è quella di non unirsi mai alle vendite convulse come in queste ore.Questo non perché sono "ottimista", ma perché unirsi al parco buoi è sempre la decisione peggiore. La politica rappresenta oggi l'incognita maggiore: basterebbe infatti una semplice e parziale retromarcia sulle tariffe da parte di Trump che ha fatto dell’imprevedibilità il suo atteggiamento quotidiano, per innescare immediatamente un'altrettanta violenta inversione di tendenza. A quel punto chi è fuori beccherebbe il secondo ceffone, molto più doloroso del primo.Non è impossibile, infatti, immaginare uno scenario in cui Wall Street, attualmente prevista in forte ribasso, possa addirittura chiudere la giornata in territorio positivo, se ci fosse una qualsiasi dichiarazione da parte di chi ha scatenato tutto questo.Gli investitori si trovano quindi ad affrontare una situazione altamente incerta e volatile, in cui è indispensabile mantenere nervi saldi e grande attenzione alle evoluzioni politiche, consapevoli che il quadro potrebbe radicalmente mutare, in un senso o nell'altro, in pochissimo tempo.Non siamo molto distanti dai livelli legati al Covid e del 2022, quello che mette a dura prova la psiche degli investitori è che ci siamo arrivati in poche ore!

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C’è un’immagine più eloquente delle parole per descrivere lo stato dell’economia europea dopo la decisione del presidente Trump di imporre nuovi dazi doganali? Probabilmente no. L'istantanea delle 12:30 odierne dei 294 titoli azionari europei dell’indice Eurostoxx offre una visione chiara, anche se preoccupante, delle conseguenze immediate delle scelte oltreoceano. La grande vittima di questa situazione è senza dubbio il settore finanziario, in particolare le banche, che in pochi giorni hanno visto evaporare oltre il 18% dai massimi recenti, guidando la discesa generale con una perdita giornaliera del 7,23%. Per capire il motivo di una reazione così violenta, dobbiamo considerare che le banche vivono di crescita economica e margini d'interesse. In un contesto di incertezza economica e aumento del rischio geopolitico, tutto questo diventa improvvisamente fragile.Se estendiamo lo sguardo al resto dei settori, la situazione non migliora. Gli industriali accusano una perdita del 4,51%, seguiti da energia (-4,69%) e comunicazioni (-2,78%). L'area tecnologica lascia sul terreno il 2,70%, mentre sanità e consumi discrezionali flettono rispettivamente del 2,74% e del 2,87%. Un panorama, insomma, che appare completamente dominato dal rosso.L'unico timido spiraglio verde è offerto dai beni di consumo di base (+0,47%), un settore tradizionalmente difensivo che conferma, ancora una volta, la sua funzione protettiva in momenti di tensione. Questo riflette chiaramente le preferenze degli investitori che, in fasi di incertezza, cercano rifugio nella stabilità di prodotti essenziali e poco sensibili alle dinamiche macroeconomiche.Gli indici esprimono l'ennesima Caporetto con Milano in flessione di oltre il 7% mentre i rendimenti obbligazionari si restringono di soli 5 bps del BTP decennale rispetto 15 del bund che torna a svolgere il ruolo di "porto sicuro" in momenti difficili.Il petrolio in 2 crolla di oltre 12 punti percentuali.A questo punto sorge spontanea una riflessione strategica: cosa fare? In situazioni come queste la "polverizzazione" del rischio, ossia la diversificazione estrema, diventa una scelta obbligata, seppur noiosa, per difendere il patrimonio.Attenzione, però: al Congresso USA cominciano a sentirsi i primi scricchiolii. Non sono ancora fratture evidenti, ma quando Wall Street e Main Street si trovano contemporaneamente sotto pressione, la storia insegna che i cambiamenti politici potrebbero arrivare rapidamente e con decisione, senza lasciare troppo spazio all'incertezza.

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Lui Provoca, Lei Risponde e…gli Altri Godono! Sta andando a finire proprio cosi! Le nuove tariffe del 25% imposte dagli Stati Uniti sulle importazioni di auto e componenti chiave, volute dall’amministrazione Trump, stanno minando gli equilibri globali del settore automotive. Mentre i principali produttori occidentali vedono aumentare i propri costi e calare margini e prezzi delle azioni, i gruppi cinesi, come BYD, avanzano rapidamente sfruttando un significativo vantaggio competitivo nel settore dei veicoli elettrici (EV).Questa dinamica protezionistica, pensata per riportare produzioni negli USA, rischia paradossalmente di rafforzare ulteriormente la leadership tecnologica cinese. BYD ha recentemente presentato un sistema rivoluzionario di ricarica ultrarapida, capace di fornire 470 km di autonomia in appena cinque minuti, un balzo tecnologico che elimina uno dei principali ostacoli all'adozione di massa degli EV. Inoltre, la casa automobilistica cinese ha lanciato il sistema avanzato di guida autonoma "God’s Eye", gratuito su tutta la sua gamma, sfidando direttamente i produttori occidentali nel campo dell'innovazione. I risparmiatori dovrebbero restare in scia sfruttando queste opportunità nel “pesante” mercato emergente del quale la Cina rappresenta il 30%. Da inizio anno, BYD ha guadagnato il 35%, mentre Tesla ha perso ben il 32%, sottolineando ulteriormente il crescente divario tecnologico e competitivo tra Cina e Occidente. Anche produttori tradizionali come General Motors e Stellantis hanno registrato cali, perdendo rispettivamente oltre il 13% e l'11%, segno evidente delle difficoltà occidentali nella corsa verso l’elettrificazione. Se da un lato gli USA adottano politiche energetiche che favoriscono il petrolio e frenano la transizione elettrica, dall'altro la Cina intensifica investimenti pubblici e privati nella mobilità sostenibile, conquistando un vantaggio competitivo difficilmente colmabile a breve termine. Questo scenario favorisce anche l’espansione dei produttori cinesi in mercati emergenti come Brasile, India e Turchia, dove il crescente interesse per gli EV (veicoli elettrificati) incontra un'offerta tecnologicamente avanzata e prezzi competitivi. In Europa, intanto, il rilassamento degli standard sulle emissioni rappresenta un ulteriore freno alla competitività dell'industria automotive locale, già alle prese con ritardi nella transizione elettrica. Tale contesto potrebbe accentuare ulteriormente il divario con la Cina, la cui capacità produttiva e velocità di innovazione continuano a sorprendere. Per gli investitori, questo quadro impone una riflessione strategica urgente: orientare i portafogli verso mercati e settori che beneficiano della transizione energetica e della superiorità tecnologica cinese. Allocazioni che privilegiano aziende con forti capacità di innovazione tecnologica, soprattutto nel settore EV e delle infrastrutture energetiche, appaiono oggi non solo prudenti ma necessarie. In sintesi, mentre l'Occidente rallenta, ostacolato da politiche interne e protezionismi controproducenti, la Cina accelera, ponendosi al centro della prossima rivoluzione industriale. Agli investitori più attenti spetta il compito di cogliere tempestivamente questa opportunità storica.

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Il debito pubblico statunitense cresce a ritmi allarmanti, alimentato da politiche fiscali aggressive e una gestione discutibile delle emissioni di debito da parte della precedente e dall'attuale amministrazione. Se è vero che la superficialità nella politica economica può sembrare goffamente innocua, sui mercati finanziari questa può invece provocare onde anomale con conseguenze pesanti.La scelta di Bessent, che aveva pesantemente criticato la Yellen per le sue emissioni “troppo corte”, va nella stessa identica direzione dell’amministrazione democratica e questo avviene continuando a privilegiare emissioni a breve termine, piuttosto che assicurarsi tassi bassi su scadenze lunghe.Questa potrebbe sembrare una strategia brillante per contenere temporaneamente i rendimenti, ma rischia di trasformarsi in una trappola! Nel momento in cui l'inflazione dovesse nuovamente accelerare, ipotesi per nulla da scartare, o gli investitori percepissero una minaccia sulla sostenibilità fiscale, i rendimenti potrebbero esplodere verso l'alto, costringendo gli Stati Uniti a rifinanziarsi a costi decisamente più onerosi. Questo scenario di crescente nervosismo non è solo ipotetico: gli investitori già dimostrano scarsa tolleranza verso emissioni di lungo periodo, rendendo estremamente delicato qualsiasi tentativo di estendere la duration del debito USA. La politica di emissione di breve termine appare quindi come una mossa pericolosamente difensiva, utile forse a calmare temporaneamente le acque, ma che lascia il Paese vulnerabile a improvvisi shock di mercato. Non mi sorprenderebbe scoprire che dietro l'apparente goffaggine di alcune dichiarazioni di Trump ci sia una precisa intenzione: evitare, almeno per il momento, che i mercati si focalizzino sulla bomba a orologeria del deficit federale, un buco di bilancio che impallidirebbe anche il più audace speculatore.Da tempo sostengo la necessità di guardare con estrema cautela ai Treasury statunitensi. Non dimentichiamo che, per una precisa scelta etica, i titoli di Stato USA non trovano spazio nei fondi ESG più seri, a causa della presenza della pena di morte negli Stati Uniti. Questo elemento apparentemente marginale assume oggi un valore concreto, poiché sposta l'attenzione verso alternative più sostenibili e, in questo momento, persino più convenienti: il debito sovrano europeo.L'Eurozona, da tutti noi spesso criticata per una politica di austerità ritenuta eccessiva, oggi paradossalmente si trova a beneficiare proprio di quella prudenza che ne aveva frenato lo sviluppo economico. Investire con cinico opportunismonel debito europeo non solo risponde a criteri etici più elevati, ma in questo momento può rappresentare una scelta strategicamente intelligente per chi voglia evitare l'incertezza che aleggia sui Treasury.La superficialità, in economia come in finanza, non paga mai. È tempo di scegliere con attenzione e cinico opportunismo la strada da seguire ed il grafico allegato con le diverse curve dei rendimenti USA, Italia e Germania, con i relativi spread vs i Treasury, deve lasciar riflettere.

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Immaginate di sostenere apertamente una politica, soltanto per scoprire che proprio quella politica rischia di ritorcersi contro di voi. È ciò che sta vivendo Tesla, la società automobilistica guidata da Elon Musk, l’anima nera più vicina al creatore della controversa politica sui dazi, Donald Trump.In una lettera, non firmata, inviata ieri all'amministrazione Trump, Tesla ha espresso preoccupazioni circa l’impatto dei dazi introdotti dagli Stati Uniti. La società teme infatti che questi possano scatenare tariffe di ritorsione da parte di altri paesi, aumentando significativamente i costi di produzione e rendendo meno competitivi i veicoli prodotti negli USA sui mercati esteri.È paradossale pensare che proprio Tesla, azienda-simbolo del "Made in USA" e stretta al fianco di Musk, uno degli alleati più fedeli di Trump, si trovi ora vittima di misure pensate per tutelare l'economia americana. Questa situazione bizzarra è evidente per l’introduzione dei dazi, concepita per proteggere le aziende statunitensi, che rischia invece di penalizzarle, specie quelle con una certa dose di innovazione e orientate all’export come Tesla.Ma perché questa lettera non è firmata? Semplice: rappresenta un chiaro segnale di disagio interno. Firmare un simile avvertimento significherebbe esporsi direttamente contro politiche di una presidenza che Tesla, attraverso Musk, ha sempre sostenuto apertamente. La scelta di lasciare la lettera anonima indica chiaramente la difficoltà di contestare apertamente decisioni provenienti da un alleato così stretto.Questa storia ci insegna che il protezionismo, se non calibrato attentamente, rischia di diventare un'arma a doppio taglio. In economia, come nella vita, a volte le “buone intenzioni” finiscono col colpire proprio chi si vorrebbe tutelare.Vediamo fin quando “i due” perpetreranno il loro sciagurato piano che la storia insegna non avrà mai vincitori!

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Erano anni che non sentivo quel brivido sottile lungo la schiena, lo stesso che si prova quando nella notte squilla il telefono e sai che non porterà buone notizie. Ho passato la vita davanti ai monitor, cercando di interpretare segnali e divulgandoli nei miei eventi, prevedere mosse e decifrare intenzioni. Sin dai tempi della pandemia, quando tutto crollava nella primavera del 2020, ero sicuro! Era il momento di guardare oltre la paura e che stava materializzandosi un’opportunità che capita una volta nella vita. Nel 2022, mentre tutti vendevano presi dal panico, io ricordavo ai miei clienti che le grandi occasioni nascono dal caos e che bisognava non solo “non vendere”, ma impiegare la liquidità per comprare.Ma questa volta è diverso. Questa volta c’è un uomo che con un solo messaggio può far saltare ogni schema, ogni strategia, ogni pilastro della mia formazione acquisita in decenni trascorsi a osservare i mercati, elaborare strategie di investimento e interpretare dati macroeconomici e segnali delle banche centrali. È notte fonda quando il tweet, o meglio un “Truth” (verità, come per i russi Pravda, senza scendere in basso a menzionare l’equivalente domestico) del Presidente Trump irrompe sul mercato e ti svegli sempre con uno scenario che non è quello con il quale eri andato a dormire: nuovi dazi, guerra commerciale anzi no, dazi sospesi….mercati nel caos. Tutto ciò che avevamo pianificato fino a pochi istanti prima, improvvisamente non vale più nulla.Mi guardo intorno e vedo volti spaventati, occhi che chiedono risposte che io non ho.Nessuno può prevedere la prossima mossa quando la politica diventa così imprevedibile, così pericolosamente imprevedibile. E allora cosa fare?Diversificare non basta più, bisogna polverizzare l’investimento! Ovvero, suddividere il capitale destinato agli investimenti in più fondi diversi anche nella medesima categoria, ognuno caratterizzato da strategie differenti e soprattutto non correlate tra loro, così da ridurre al minimo i rischi. Non sarà più sufficiente scegliere un solo fondo azionario, obbligazionario o settoriale anziché con una proporzione tra azioni e obbligazioni, come il classico 50/50 anziché un 80/20.Oggi è indispensabile suddividere il capitale che fino ad oggi avremmo allocato in un unico fondo di quella specifica asset class, in almeno tre fondi diversi, ognuno con strategie distinte e soprattutto decorrelate tra loro.Perché se una fallisce, l’altra resisterà: ad esempio, se una strategia basata sulla crescita economica soffre per via delle tensioni commerciali, tensioni sui tassi, un'altra orientata su asset difensivi o legata a tematiche sostenibili anzichè con strategie flessibili sulla duration, potrebbe invece beneficiare del clima di incertezza, garantendo stabilità. E se anche quella dovesse cedere sotto i colpi di un “Truth presidenziale”, la terza sarà il nostro salvagente.Ecco cosa suggerisco di fare oggi: nessun panico o collassi all’orizzonte, ma tantissima incertezza e imprevedibilità che ci rende vulnerabili. Ed allora abbandoniamo quelle che oggi sono le nostre certezza ed adottiamo misure straordinarie di frammentazione al fine di poter gestire al meglio il risparmio della gente. Perché nei mercati finanziari, come nei romanzi gialli, l'assassino non è mai quello che sembra: il vero colpevole potrebbe nascondersi dietro un semplice tweet, pronto a cancellare in un attimo mesi di pianificazione e strategia. E stavolta l’arma del delitto potrebbe essere un post nella notte.

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Venerdì scorso Wall Street ha tirato un sospiro di sollievo chiudendo in rialzo, ma non abbastanza da ribaltare una settimana caratterizzata da tensioni e perdite significative. Gli investitori hanno reagito nervosamente alle incertezze geopolitiche innescate dal confronto tra Donald Trump e il presidente ucraino Zelensky, evidenziando una volatilità destinata probabilmente a perdurare.La settimana che inizia oggi si prospetta altrettanto complessa, con tre grandi temi destinati a influenzare fortemente i mercati finanziari.Primo, la salute dell’economia statunitense. Venerdì saranno pubblicati i dati sul mercato del lavoro USA: le attese sono per la creazione di circa 160.000 posti di lavoro, con un tasso di disoccupazione stabile al 4%. Numeri inferiori alle aspettative potrebbero spingere Jerome Powell e la Fed a rivedere la strategia sui tassi di interesse, finora orientati a rimanere invariati almeno fino a giugno. Attenzione anche agli indicatori PMI di febbraio, che potrebbero evidenziare un rallentamento della crescita economica legato al maltempo che ha colpito gli Stati Uniti nelle scorse settimane.Secondo, la questione tariffaria promossa dall’amministrazione Trump. Da martedì, salvo colpi di scena, entreranno in vigore nuovi dazi del 25% sulle importazioni da Canada e Messico e ulteriori tariffe del 10% su prodotti provenienti dalla Cina. Questa situazione alimenta incertezza tra gli investitori, che potrebbero privilegiare settori meno sensibili alla congiuntura economica internazionale.Terzo, i risultati societari. Nei prossimi giorni saranno pubblicate trimestrali cruciali per società operanti nei settori della tecnologia, cybersecurity e distribuzione retail. Gli investitori cercheranno conferme sulla solidità dei bilanci e sulla capacità delle aziende di fronteggiare l’incertezza macroeconomica e geopolitica.In sintesi, la settimana si apre all’insegna della cautela e della selettività: mantenere una strategia prudente, privilegiando titoli difensivi e resistenti alle turbolenze internazionali, sarà fondamentale per affrontare con successo questa fase delicata dei mercati.

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Appena pubblicati i dati ufficiali sull'inflazione e sulla spesa personale negli Stati Uniti relativi al mese di gennaio. La tipologia di dato sui prezzi più seguito dalla Fed, l’indice PCE YoY si è attestato al 2,5%, in linea con le attese e leggermente inferiore rispetto al 2,6% di dicembre 2024. La componente “Core”, vale a dire quella decurtata da alimentari ed energia, il Core PCE YoY, registra un 2,6%, anch’esso in linea con le attese e in diminuzione dal precedente 2,9% (valore rettificato oggi dal 2,8%), segnalando una moderata attenuazione delle pressioni inflazionistiche.Sul fronte della domanda interna, i redditi personali sono cresciuti dello 0,9%, nettamente oltre le previsioni dello 0,4% e in forte accelerazione rispetto al +0,4% precedente. In controtendenza la spesa personale, che diminuisce del -0,2%, molto al di sotto delle attese (+0,2%) e del dato precedente (+0,8%), indicando un possibile rallentamento della domanda.I dati mostrano un quadro inflazionistico in miglioramento, ma il forte aumento dei redditi, accompagnato da un calo inatteso della spesa, potrebbe suggerire prudenza dal punto di vista della crescita. In poche parole, gli americani guadagnano di più ma spendono meno e questa deduzione combacia con la fiducia dei consumatori crollata la scorsa settimana.Questo mix non ha avuto impatti significativi sulle attese di politica monetaria, con i futures sui Fed Funds che dopo il dato continuano a scontare 2 tagli da 25 bps entro fine anno e con una probabilità del 37% anche un terzo.Con questo dato, giunto al termine di una settimana difficile, il quadro è ormai chiaro:Le trimestrali di Wall Street, ormai giunte quasi al termine, hanno evidenziato nell'ultimo trimestre un aumento degli utili dello S&P 500 del 10,07% e del 21% del Nasdaq 100, trainato dai profitti delle grandi aziende in quanto per i 3279 componenti del Nasdaq composite, il rialzo medio degli utili è stato solo dell'1% scarso.Questo contesto ci descrive un tessuto economico americano che non è "ampio" nel suo sviluppo e che necessiterebbe di tassi più bassi per essere rilanciato, ma dall'altra parte c'è una Fed che dopo aver sbagliato i conti con l'inflazione nel 2021, non può permettersi un nuovo errore, ed i dazi all'orizzonte aumentano notevolmente la possibilità di un aumento dell'inflazione negli USA nei prossimi trimestri.Il buon senso non è una dote particolarmente diffusa, ma forse in questo momento qualcuno dovrebbe consigliare qualcun altro che il "giocattolo funziona" e che l'unico rischio che si corre volendolo modificare è romperlo!Per informazioni:roberto.digiovine@iwprivateinvestments.it

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L'Europa sta scoprendo la sua fragilità in un mondo che non aspetta nessuno.Isabel Schnabel, membro del comitato esecutivo della Banca Centrale Europea e rappresentante della Germania, con un ruolo di rilievo anche nella Bundesbank e figura chiave tra i cosiddetti "falchi" della politica monetaria, ha dichiarato che la BCE dovrebbe fermarsi a riflettere sulla fine dei tagli ai tassi, segnando un cambio di passo a mio parere molto preoccupante.Mentre l'economia arranca e le tensioni globali impongono una visione strategica, l'Europa continua a muoversi a passo incerto, ostaggio di un'austerità miope e di un'inflessibilità che rischia di condannarla all'irrilevanza.Le parole di Mario Draghi di inizio settimana sono state uno schiaffo alla politica del "no" perenne. No al debito comune, no alla flessibilità di bilancio, no a uno stimolo fiscale adeguato. L'ex presidente della BCE ha sollevato un punto cruciale: senza un cambio di passo, l'Europa resterà vittima della sua stessa rigidità. Eppure, appena pochi giorni dopo, arriva l'affermazione di Schnabel, che getta un'ombra sulle aspettative di un ulteriore allentamento monetario. Se da una parte la crescita langue, dall'altra la BCE si interroga su rischi inflazionistici ancora nebulosi, alimentando una percezione di paralisi decisionale.Il punto è che l'Europa sembra incapace di definire una strategia di crescita. Le previsioni economiche restano fiacche, il divario con gli Stati Uniti si allarga, e le tensioni geopolitiche complicano ulteriormente il quadro. Nel frattempo, i mercati prezzano ancora tre tagli ai tassi entro la fine dell'anno, ma la BCE appare divisa sul da farsi.Anche se l'inflazione si mantiene appena sopra il target del 2%, non dà segnali di surriscaldamento. Il tasso di riferimento è sceso di 125 punti base dall'estate, portandosi al 2,75%, il livello più basso degli ultimi due anni. Eppure, il dibattito interno alla BCE suggerisce che alcuni membri del board siano già pronti a interrompere il ciclo espansivo.L'idea che la politica monetaria possa essere già sufficientemente accomodante non tiene conto del contesto macroeconomico: una crescita vicina allo zero, salari stagnanti e un'industria manifatturiera che fatica a riprendersi.Schnabel sottolinea che la neutralità dei tassi è una variabile ancora incerta, e che il limite superiore del "tasso neutrale" potrebbe essere più alto del previsto. Tradotto: la BCE potrebbe avere meno spazio del previsto per allentare la sua politica monetaria.Ma il problema di fondo non è solo monetario. L'assenza di una politica fiscale coesa e di un piano industriale strutturato lascia l'Europa in balìa degli eventi e prigioniera di regole di bilancio che appartengono a un'altra era.Questa rigidità decisionale rischia di condurre il continente in un vicolo cieco. Il mondo sta cambiando rapidamente, e le sfide si moltiplicano: dalla transizione energetica alla competizione tecnologica, dalla sicurezza economica alla resilienza industriale. Eppure, ogni tentativo di rispondere a queste sfide è ostacolato da un'inerzia istituzionale che impedisce all'Europa di prendere decisioni coraggiose.L'incapacità di affrontare questi nodi con una visione strategica alimenta il rischio di una stagnazione strutturale. E questo, anche per chi ha sempre creduto nell'Europa, diventa difficile da ignorare.Ma per quanto meriti tutte le critiche, questa Europa resta comunque un argine rispetto a chi, da solo, si troverebbe in balìa degli eventi. Senza l'ombrello dell'Unione, un Paese come il nostro, gravato da un debito insostenibile, sarebbe già stato colonizzato. Da chi? Dagli Stati Uniti, dalla Russia o dalla Cina: scegliete voi, per me è irrilevante.Per informazioni: Roberto.digiovine@iwprivateinvestments.it

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Nel selvaggio West delle criptovalute, dove la speculazione regna sovrana, l'ultima tendenza si chiama Trump Coin. Più che un'opportunità d'oro, sembra aver spalancato le porte a una pioggia di imitazioni e truffe potenziali. Con oltre 700 memecoin falsi apparsi sulla blockchain di Solana, gli investitori rischiano di essere travolti da un'ondata di confusione e promesse illusorie.Ma cos’è esattamente Trump Coin? Si tratta di un memecoin, ovvero una criptovaluta basata su un meme (un'idea, immagine o concetto virale che si diffonde rapidamente online) o un personaggio pubblico, in questo caso Donald Trump. La sua creazione ha scatenato una vera e propria bolla speculativa, con l'emissione di numerose monete digitali senza alcun valore intrinseco, il cui unico motore è la pura speculazione che fonda sul supporto di Trump al mondo delle cryptovalute.Questa dinamica è resa possibile dalla mancanza di regolamentazione nel settore e dalla facilità di creare nuovi token su blockchain come Solana, che permette a chiunque di lanciare una criptovaluta senza necessità di approvazioni.Nel portafoglio ufficiale del Trump Coin sono stati depositati 736 memecoin differenti in poche settimane. Tra questi, circa 200 riportano il nome "Trump" o di un membro della sua famiglia, senza alcun legame effettivo con il presidente. Peggio ancora, 67 monete includono la parola "official", alimentando ulteriormente l’equivoco tra i trader meno esperti.L'intuizione degli speculatori è stata fulminea: appena 30 minuti dopo l'annuncio del vero Trump Coin, era già stato creato il primo clone. Una rapidità impressionante, resa possibile dal sistema di tokenizzazione aperta su Solana, che consente a chiunque di creare nuove criptovalute senza alcuna approvazione preliminare.Il trucco? Depositare questi token falsi direttamente nel wallet ufficiale di Trump, sfruttando la visibilità della sua figura per indurre gli investitori a pensare che si tratti di monete autentiche.Il problema principale di questa proliferazione incontrollata è che molti di questi token non hanno alcun valore reale e sono altamente illiquidi. Un esempio lampante è l’"Official Barron Trump Coin", il cui valore nominale nel wallet di Trump è stimato a 6 miliardi di dollari. Peccato che la più grande transazione registrata sia stata di appena 242 dollari.Questa dinamica crea un'illusione di valore, in cui monete con scambi quasi nulli vengono valutate miliardi, salvo poi rivelarsi completamente invendibili. Un gioco pericoloso che ricorda da vicino la stagione delle “shitcoin” del 2021, quando memecoin senza alcuna utilità bruciavano i risparmi di investitori sprovveduti.Se il mondo delle criptovalute ha insegnato qualcosa, è che la FOMO (fear of missing out) può essere la peggior nemica di un investitore.Perché come diceva Warren Buffett:"Se non capisci dove sta il guadagno, il guadagno probabilmente sei tu."

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Oggi fare proiezioni sui tassi, sull’inflazione o sulle decisioni di Fed e BCE sembra quasi un esercizio inutile. Tradizionalmente, questi indicatori rappresentano le fondamenta della politica economica e finanziaria globale, ma attualmente appaiono secondari rispetto all’imprevedibilità delle scelte politiche di Donald Trump. Per quanto fondamentali, questi fattori cedono il passo a ciò che Donald Trump potrebbe decidere di fare domani. La sua volontà di imporre misure restrittive sul commercio internazionale crea un'incertezza dominante: dalle sue scelte dipenderanno inevitabili ritorsioni da parte dei paesi colpiti, come l'imposizione di dazi di ritorsione su beni chiave o la limitazione delle esportazioni di materie prime strategiche, con possibili escalation imprevedibili. Questo scenario influenza direttamente il rischio di surriscaldamento dei prezzi, ma anche una potenziale contrazione degli utili aziendali.Le tensioni tra la Casa Bianca e la Federal Reserve restano al centro dell'attenzione.Trump insiste per un taglio deciso dei tassi d'interesse, mettendo pressione sulla Fed guidata da Jay Powell, sostenendo che la Fed dovrebbe abbassare i tassi "di molto", dichiarandosi più competente in materia rispoetto ai suoi predecessori. Questa posizione ha contribuito a indebolire il dollaro, che ha toccato i livelli più bassi da dicembre.Dopo tre tagli consecutivi nel 2024, la Fed sembra orientata a mantenere stabili i tassi tra il 4,25% e il 4,5%, preoccupata che le politiche di Trump — come dazi e tagli fiscali — possano alimentare pressioni inflazionistiche e destabilizzare il commercio globale, con impatti significativi sugli investimenti privati, sulle catene di approvvigionamento e, di conseguenza, sulla crescita economica complessiva.La resilienza della Fed sotto pressione sarà centrale nel 2025. Pur stimolando l'economia, le politiche di Trump potrebbero aggravare l'inflazione e alcuni grandi operatori del settore del risparmio gestito, iniziano a considerare addirittura un possibile rialzo.Sono previsioni e mai come questa volta la variabile (Trump) è ancora più imprevedibile rispetto a quelle a cui siamo abituati. Personalmente ritengo che l’anno potrebbe concludersi con 2 tagli da 25 bps o 2 rialzi da 25 bps per la Fed, un’incertezza che riflette la complessità del contesto attuale e l’imprevedibilità delle scelte politiche, alla quale non mi sorprenderebbe assistere. Buon fine settimana a tutti

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Dopo gli ultimi forti rialzi della borsa american, riflettevo su cosa potrebbe rovinare la festa e ho cercato di mettere un po’ d’ordine su vari concetti che quotidianamente ci vengono somministrati dai media a dosi massicce. Dopo due anni di rialzi consecutivi delle borse a Wall Street, il 2025 si prospetta come un anno con tante incognite per i mercati azionari, con la discriminante che sarà guidata unicamente dalla capacità delle aziende di generare utili e questo, francamente, oggi non appare preoccupante. Con le aspettative di una crescita degli utili a doppia cifra, i numeri infatti promettono bene, ma la strada non è priva di insidie. L’attenzione degli investitori si concentra su un tema chiave: la capacità del mercato di ampliare la base dei titoli trainanti e sostenere le valutazioni in un contesto economico incerto. Partiamo dalle buone notizie.Per il secondo anno consecutivo, gli utili dell’S&P 500 sono attesi in crescita a doppia cifra, con un incremento stimato del 14% nel 2025 rispetto al già solido +10,1% del 2024. Questa crescita dovrebbe essere distribuita uniformemente durante l’anno, con un picco del +17,5% nell’ultimo trimestre. Non solo: si prevede che il miglioramento degli utili coinvolga un numero maggiore di settori, uscendo dal dominio dei colossi tecnologici. Il cambiamento più evidente riguarda il tema della “ampiezza degli utili”. Nel 2024, i cosiddetti Magnificent Seven, i sette giganti tecnologici che hanno dominato il mercato, hanno contribuito per l’80% alla crescita degli utili dell’S&P 500. Nel 2025, tale contributo dovrebbe scendere al 42%, lasciando spazio a settori tradizionalmente meno considerati, come sanità (+20,4%), industriali (+19,1%) e materiali (+17,2%). Un eccellente segnale di maggiore equilibrio e diversificazione. Tuttavia, dietro queste proiezioni positive si celano sfide importanti.Poiché le aspettative sono “alte”, il mercato sarà vulnerabile (molto vulnerabile) a qualsiasi revisione negativa degli utili, mentre il mantra “tassi più alti più a lungo” impone un costo del capitale più elevato, comprimendo potenzialmente i margini. L’incertezza sulle politiche fiscali e commerciali post-elezione rappresenta un’altra variabile critica.Saranno i tagli fiscali o l’aumento dei dazi a guidare il discorso economico? Se da un lato una riduzione delle aliquote promesse da Trump potrebbe rappresentare un catalizzatore per gli utili, dall’altro nuove tariffe commerciali rischiano di frenare la crescita. Un ulteriore punto di attenzione è la forza del dollaro, che ha guadagnato quasi il 10% da settembre. Circa il 40% dei ricavi dell’S&P 500 proviene da fuori degli Stati Uniti, e un dollaro forte potrebbe pesare sui margini aziendali, in particolare nei settori con una maggiore esposizione internazionale. Anche il comportamento del consumatore è un tema controverso. Se l’ottimismo post-elettorale ha portato a un iniziale aumento della spesa, resta da vedere se questo slancio sarà sostenibile. Mentre i consumatori a reddito alto mostrano resilienza, quelli a reddito medio-basso continuano a essere influenzati da una combinazione di inflazione e tassi più elevati, mettendo in discussione la capacità di mantenere una crescita robusta nei consumi.

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I titoli e i bond dei Paesi Emergenti (EM) dovrebbero esser sempre presenti nei Portafogli?

Esiste un nuovo fattore cruciale per investire negli EM che farà sempre di più la differenza che non è relegato alla sola crescita economica dei Paesi: stiamo parlando della qualità contabileUna strategia basata su parte dei migliori titoli per qualità contabile nell'indice MSCI Emerging MarketsQuesto dato evidenzia il potenziale per puntare su Aziende trasparenti e solide, che incarnano principi ESG. Nel terzo trimestre del 2024, le aziende quotate negli EM, hanno dimostrato una maggiore fiducia nella gestione dei propri risultati finanziari rispetto alle controparti dei paesi sviluppati che potrebbe sembrare un dettaglio tecnico, in realtà offre spunti rilevanti per comprendere i trend futuri, come un aumento della trasparenza aziendale e una maggiore affidabilità nei risultati finanziari riportati.Tali miglioramenti si traducono in una riduzione del rischio percepito dagli investitori, e questo è un fattore fondamentale nella scelta su cosa investire,  e in una maggiore attrattività degli EM per i capitali globali.Secondo il Beneish M-Score, un indicatore che valuta la probabilità di manipolazioni contabili basandosi su otto variabili chiave dei bilanci, la qualità contabile negli EM è cresciuta del 3,6% nel terzo trimestre 2024, superando l'1,1% dei mercati sviluppati. Il 57% delle aziende degli EM  ha migliorato i propri standard contabili rispetto al 55% dei mercati sviluppati, dimostrando una minore dipendenza da strategie contabili aggressive per ottimizzare i risultati.Negli EM si registra un miglioramento significativo della qualità contabile rispetto ai mercati sviluppati, dove i progressi sono stati più contenuti, specialmente negli USA. Le alte aspettative dei mercati spingono spesso le aziende verso obiettivi ambiziosi, come margini di profitto elevati o acquisizioni strategiche, che talvolta richiedono interventi contabili creativi per non deludere con i risultati trimestrali. Queste pratiche sono da considerarsi un semplice palliativo, che in realtà tende solo a rimandare i problemi. Quando gli investitori se ne accorgono,  e accade sempre in coincidenza con l’uscita dei risultati trimestrali sono doloriSe gli EM continueranno su questa traiettoria, potremo trovarci di fronte a un cambiamento epocale nel modo in cui vengono percepiti dagli investitori. La qualità contabile non è solo un numero su un bilancio: è un segnale di fiducia e solidità, elementi fondamentali per costruire un portafoglio resiliente.In sintesi, è come una corsa automobilistica: mentre i mercati sviluppati hanno auto più potenti, rappresentando economie consolidate con risorse ampie e infrastrutture avanzate, gli EM stanno imparando a guidare meglio, ottimizzando la gestione delle loro risorse e dimostrando una crescente capacità di innovazione.

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Siamo ormai a fine anno, tempo di bilanci e di previsioni ed è il periodo giusto per  fare il punto della situazione.Passiamo dunque alle cifre che evidenziano cosa è accaduto in questo 2024: i mercati azionari dei Paesi sviluppati hanno regalato un risultato molto solido, segnando un +21,24% che evidenzia la capacità di queste economie di mantenere un passo stabile, nonostante le incertezze geopolitiche e l’adattamento ai tassi d’interesse. Gli Azionari dei Paesi Emergenti, pur chiudendo con un rassicurante +8,27%, si sono mossi a un ritmo più moderato, a testimonianza di condizioni strutturalmente più complesse.Guardando ai portafogli bilanciati, la differenza sta nella quota azionaria: quelli moderati (60% azioni, 40% obbligazioni) hanno ottenuto +11,51%, mentre i conservativi (20% azioni, 80% obbligazioni) si sono assestati su un +5,62%. Interessante notare come anche un titolo obbligazionario a lunga scadenza, come il BTP Aprile 2035, abbia realizzato +5,16%. Invece i Bond Investment Grade si sono fermati a un modesto +0,15%, mettendo in luce un anno poco generoso per le obbligazioni di maggior qualità e questo soprattutto sui governativi e treasury americani che dai 2 anni in poi hanno addirittura visto un aumento dei tassi, nonostante i tagli della Fed.Abbiamo compreso, qualora ce ne fosse stato bisogno, che i tagli delle banche centrali non necessariamente si tramutano sempre in ribassi delle curve che eccedono bond di brevissimo periodo come quelli entro l’anno di duration.Ci ritroveremo a inizio gennaio sempre su firenzedintorni.it, nel frattempo, che il Natale vi porti la calma e la gioia di una cioccolata calda sorseggiata al tepore del camino, e che l’anno nuovo si presenti come un foglio immacolato pronto ad accogliere i vostri progetti più entusiasmanti. Buon Natale ed a tutti, uno splendido 2025.Per informazioni roberto.digiovine@iwprivateinvestments.it

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Che effetti avranno le politiche di Trump sui mercati obbligazionari americani ed europei? La domanda interessa la stragrande maggioranza dei risparmiatori fiorentini, visto che i BTP sono lo strumento maggiormente usato dagli investitori.Otto anni fa, quando Donald Trump è stato eletto per la prima volta, i rendimenti dei Treasury erano molto al di sotto di quanto non siano oggi e la spesa pubblica non era un argomento dominante. Ora, il rendimento del decennale è almeno di 200 punti base più elevato rispetto ai livelli toccati quando Trump è entrato in carica a gennaio 2017.Il divario dei rendimenti riflette il contesto economico radicalmente differente tra il 2017 e oggi. L’inflazione è semplicemente molto più alta. I tassi d’interesse USA sono ancora elevati, nonostante la Fed abbia tagliato i tassi di 75 punti base in risposta a un indebolimento della disoccupazione e un calo dell’inflazione dal picco post pandemico.Mentre il resto del mondo ha faticato a riprendersi dopo la pandemia, la crescita USA resiste principalmente grazie a una forte spesa pubblica. Anche il fatto che i bilanci delle imprese e delle famiglie siano molto più sani rispetto al periodo successivo alla crisi finanziaria globale del 2008 ha sostenuto la crescita.L’elezione di Trump ha sostenuto i mercati finanziari. L’indice azionario S&P 500 si aggira intorno ai massimi storici, il dollar index è al livello più alto dell’anno, gli spread del credito si sono ulteriormente ristretti e il VIX, noto come l’indicatore della paura, è sceso.Trump ha promesso di imporre dazi di circa il 60% sulle importazioni dalla Cina e dal 10% al 20% sul resto del mondo nel tentativo di aumentare la capacità manifatturiera interna e attrarre investimenti esteri. Riteniamo che l’impatto di breve termine di questa mossa sarebbe un incremento dell’inflazione negli USA poiché le importazioni diventano più costose, minando al contempo la crescita di economie più votate all’export come Cina e Germania.Il desiderio di alzare i salari nominali dei lavoratori, in particolare nella fascia bassa del mercato del lavoro, è un altro pilastro economico di Trump. L’alta inflazione dopo la pandemia ha eroso i salari reali dei lavoratori. Tuttavia, un’eventuale espulsione di massa di migranti, come previsto, potrebbe ridurre l’offerta di manodopera, spingere i salari interni al rialzo e mettere sotto pressione la redditività delle aziende.I rendimenti delle obbligazioni a lungo termine sono cresciuti dopo il primo taglio dei tassi in questo ciclo a metà settembre. Erano rimasti su livelli elevati a causa delle preoccupazioni degli investitori sulla solidità della crescita statunitense, gli effetti inflattivi delle politiche già citate ma anche per un possibile incremento del deficit fiscale.Il percorso di taglio dei tassiAttualmente, l’economia USA dipende in larga misura da una spesa fiscale sostenuta per stimolare la crescita. Tuttavia, è improbabile che l’espansione economica possa durare a lungo, poiché i tassi reali sono ai massimi dal 2008, il che potrebbe danneggiare infine la crescita del settore privato, e condurre ad un indebolimento del dollaro. Uno scenario di questo tipo potrebbe sostenere le strategie d’investimento focalizzate sulla duration e favorire la rotazione verso le obbligazioni dei mercati emergenti che offrono rendimenti interessanti.Con Trump nuovamente al vertice, sono emersi dubbi sul ritmo e sull’ampiezza dei tagli dei tassi da parte della Fed nei prossimi mesi perché le sue politiche potrebbero in primo luogo spingere l’inflazione al rialzo prima di provocare un calo della crescita. In modo interessante il Presidente della Fed, Jerome Powell, ha indicato che la banca centrale non ha fretta di abbassare i tassi, considerando la forza dell’economia.Resta da vedere se la Fed taglierà i tassi entro la fine dell’anno. L'attuale prezzo di mercato dei tassi di interesse riflette questa incertezza, con il tasso terminale almeno 70 punti base sopra il tasso neutrale della Fed. Dal nostro punto di vista, il taglio dei primi 100 punti base sarà la parte più facile per la Fed, mentre le prospettive per il 2025 rimangono incerte. Tuttavia, l’alto punto di partenza per i tassi reali e il dollaro forte, insieme ai cambiamenti estremi che Trump vuole apportare, danneggeranno la crescita e ridurranno l’inflazione su scala mondiale. Ma si tratta semplicemente di un reset. Con i tassi in calo, unitamente a una spesa maggiore per investimenti a livello globale, dal 2025 in poi la crescita e l’inflazione torneranno ad essere volatili.Per informazioni:roberto.digiovine@iwprivateinvestments.it

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La parola d’ordine per il risparmiatore è diversificare, diffidando delle soluzioni facili.La notizia della vittoria di Donald Trump alle elezioni americane ha infatti portato a infinite speculazioni.Cosa potrebbe significare questo per i mercati nel 2025? Lasciando da parte i rischi politici, il contesto economico rimane comunque favorevole. L'inflazione si è mossa nella giusta direzione e i tassi di interesse sono in calo negli Stati Uniti e in Europa. A questo punto ci aspettiamo un atterraggio morbido e la previsione più probabile è che la crescita riaccelererà nel corso del 2025.Per quanto riguarda i titoli azionari, l'S&P500 appare costoso, ma le valutazioni al di fuori delle mega-cap e degli Stati Uniti appaiono più ragionevoli. Gli investitori azionari si sono abituati al fatto che un piccolo numero di grandi società alimenta i guadagni del mercato azionario. Questo schema, tuttavia, sta già cambiando: riteniamo infatti che negli Stati Uniti vi sia il potenziale per un ulteriore allargamento dei mercati, soprattutto alla luce dell'attenzione di Trump per la deregolamentazione e i tagli alle imposte sulle società.Al di là degli Stati Uniti, se Trump attuerà pienamente la politica sui dazi annunciata durante la campagna elettorale, il commercio sarà un'importante area di interesse. Potrebbe essere difficile attuare per legge tariffe così estese, ma l'incertezza incoraggerà in ogni caso le aziende statunitensi a delocalizzare. Ciò potrebbe stimolare la crescita degli Stati Uniti a scapito dei Paesi vicini, ma ci aspettiamo anche un maggiore stimolo monetario al di fuori degli Stati Uniti per compensare questa situazione.Nel complesso, quindi, vediamo la possibilità di ottenere rendimenti positivi dalle azioni nel 2025, ma gli investitori potrebbero dover guardare oltre. I freni all'immigrazione e le politiche per rilanciare il settore societario potrebbero aumentare il rischio di inflazione interna, limitando la capacità della Federal Reserve di ridurre i tassi.Le obbligazioni offrono un reddito interessante.La vecchia ragione per possedere obbligazioni - generare reddito - è tornata, confermando la fedeltà a questo tipo di investimento Le politiche fiscali e monetarie divergenti in tutto il mondo offriranno anche opportunità di cross-market nel reddito fisso e nelle valute. Inoltre, i solidi bilanci societari sostengono il rendimento offerto dai mercati del credito.In termini di diversificazione, continuiamo ad apprezzare l'oro in quanto fornisce una copertura contro i rischi di recessione, in modo simile alle obbligazioni. È anche una buona riserva di valore in caso di esiti più stagflazionistici ed eventi geopolitici.La diversificazione rimane senza se e senza ma la chiave per la resilienza del portafoglioPer informazioni:roberto.digiovine@iwprivateinvestments.it

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Dicembre andiamo, è tempo di previsioni. O di oroscopi finanziari.Parafrasando il grande poeta si potrebbe anche aggiungere che è tempo di miracolose conversioni o di momenti magici in cui i guru della finanza tirano fuori dal cilindro le previsioni per il nuovo anno.E’ una tentazione fortissima, in cui cadono tutti, anche una delle tre più grandi banche del mondo: niente nomi, ma gestisce i trequarti dei risparmi del nostro pianeta.Gli analisti di questo colosso hanno mantenuto per l’S&P 500 (ovvero l’indice guida delle Borse mondiali) un target price di 4200 punti, anche quando questo numero magico è salito allegramente oltre i 6000 punti, ma loro niente, immobili come le statute della nostra splendida Piazza della Signoria.Improvvisamente, mercoledì scorso, il colpo di scena: cambio di guardia al vertice del team di analisti e la visione si è, come dire…, aggiornata: il nuovo target dell’S&P 500 è magicamente volato a 6500 punti.Un salto quantico di 2.300 punti, che corrisponde ad una visione che migliora del 55% le prospettive di Wall Street dalla precedente visione, il tutto giustificato con l’entusiasmo per l’AI, i tagli dei tassi e un mercato del lavoro florido. Tutte cose che, guarda caso, esistevano anche quando loro vedevano 4.200.La morale? A volte per vedere il rally serve solo un cambio di analista. O forse, più semplicemente, anche i più grandi esperti di Wall Street ogni tanto hanno bisogno di un aggiornamento del software di prevision.E mentre aspettiamo le nuove “profezie” di dicembre, ricordiamoci che in finanza, come negli oroscopi, l’importante non è azzeccare il numero, ma raccontare una bella storia per giustificarlo.Per informazioni: Roberto.digiovine@iwprivateinvestments.it

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Il premio del rischio nelle obbligazioni ad alto rendimento è ancora giustificato? Il mercato paga per questo tipo di bond un premio molto più basso rispetto ai Treasury Bond. Negli ultimi due anni, lo spread tra gli US Corporate High Yield e i Treasury Bond a 10 anni è passato dal 6% al 3%, segnalando quindi un dimezzamento del premio per il rischio. Questo è significativo perché i risparmiatori, oggi, ottengono un rendimento aggiuntivo molto ridotto per assumere un rischio elevato, il che rende meno attraente investire in obbligazioni High Yield rispetto al passato. Quali sono quindi i pro e contro di investire in queste obbligazioni?Gli US Corporate High Yield, noti anche come "Bond Spazzatura", offrono rendimenti elevati in cambio di un rischio maggiore. Tuttavia, negli ultimi anni questo premio si è ridotto sensibilmente. Con un rendimento aggiuntivo così ridotto, vale ancora la pena assumere il rischio maggiore legato agli High Yield?E’ opportuno ricordare a questo proposito che le aziende emittenti degli High Yield hanno un rating creditizio inferiore, il che le rende più vulnerabili in caso di recessione o instabilità economica. La riduzione dello spread implica ovviamente  che gli investitori vengono compensati meno per il rischio rispetto al passato. E in Europa? La situazione non è molto diversa. Gli spread per gli High Yield europei rispetto al Bund tedesco sono intorno al 3,68%, mentre rispetto al BTP decennale italiano si attestano a un misero 2,41%. A questo si aggiunge il contesto economico europeo che non è paragonabile a quello USA. La crescita in Europa, sia attuale che prospettica, è purtroppo ben più bassa rispetto agli Stati Uniti, e questo amplifica i rischi per le società che devono pagare più interessi per finanziarsi. E’, per dirla in termini molto più spicci, come il gatto che si morde la coda.Il calo del premio di rendimento suggerisce che i risparmiatori dovrebbero considerare attentamente la loro esposizione agli High Yield. Se una diversificazione nella componente obbligazionaria è ancora giustificata, la percentuale da destinare a questi titoli deve essere ben ponderata. È fondamentale discuterne con il proprio consulente finanziario, per trovare soluzioni che considerino i pro ed i contro di questo asset.Il fatto che il mercato stia riducendo il premio per il rischio associato agli High Yield, è un segnale che potrebbe indurci a ripensare alla nostra strategia. Non esistono rendimenti senza rischio nei mercati, e i risparmiatori devono essere consapevoli che assumere rischi senza un adeguato compenso non è una scelta prudente. Un'adeguata consulenza e un approccio bilanciato rimangono fondamentali per navigare le sfide future. Se hai acquistato High Yield due anni fa, il restringimento dei rendimenti rispetto ai titoli 'Investment Grade' ha generato certamente migliori performance che andrebbero valutate con grande attenzione. Per informazioni: Roberto.digiovine@iwprivateinvestments.it