Ieri pomeriggio, il Campus delle Scienze Sociali dell’Università di Firenze ha ospitato l’attore e regista romano Edoardo Leo per una delle tappe del suo “#L’OTELLODILEO tra amore, morte e gelosia”, un tour nelle Università italiane che precede l’uscita del film “Non sono quello che sono”, fissata per il prossimo 14 novembre. Una tappa, quella fiorentina, che ha visto come protagonista un dibattito tra l’attore e gli studenti, per parlare di tematiche importanti come violenza di genere, gelosia e razzismo, prendendo spunto proprio dal film di Edoardo Leo, che ambienta nei primi anni 2000 il dramma dell’Otello di William Shakespeare.
Edoardo Leo, all’Università di Firenze, ha dunque incontrato gli studenti per confrontarsi sui suddetti temi. E l’incontro, che ha riscosso un importante successo in fatto di adesione e affluenza di studenti, è stato introdotto dalla rettrice dell’Università di Firenze, Alessandra Petrucci ed è stato moderato da Chiara Brilli, direttrice editoriale di Controradio.
Edoardo, perché la decisione di precedere l’uscita nelle sale del film con una serie di incontri con gli studenti in tutta Italia e, oggi, qui a Firenze?
“Perché questo film è proprio diverso da tutte le cose che ho fatto negli ultimi anni. C’era la possibilità di discutere con gli studenti dell’Università di tanti temi, sia dal punto di vista contenutistico – è un film che parla di violenza di genere, di femminicidi, temi drammaticamente contemporanei – e c’era qualcosa che era più attinente al mondo accademico, ovvero capire come un grande classico riesce a rileggere il contemporaneo, capire insieme agli studenti che tipo di lavoro è stato fatto sulla traduzione dall’inglese in dialetto di quest’opera. Quindi, messe sul piatto della bilancia tutte queste cose, ci siamo convinti, insieme al produttore e al distributore, che potevamo chiedere agli atenei di ospitarci e fare queste MasterClass. E quasi tutti hanno aderito con grande entusiasmo”.
La storia di Otello racconta di un femminicidio. Ecco, leggendo negli occhi degli studenti, che sensibilità ha captato tra i giovani di oggi sui temi di grande attualità?
“Molto più alta di quella che viene attribuita a questa generazione. Dico spesso che questa generazione viene tacciata di essere distratta, attenta solo a quello che succede sui social, mentre io la penso diversamente. Sono ragazzi molto più informati di noi, molto più sensibili di noi. Bisogna dar loro attenzione, contenuti giusti e quello che sto scoprendo girando le Università, è che sono attenti, partecipi, che hanno voglia di questi incontri e hanno voglia di discutere di questi temi, perché siamo talmente che in ritardo che non si può più aspettare”.
Violenza di genere, gelosia, razzismo: passano gli anni, passano i tempi, ma sono temi che continuano a rimanere vivi. Come poter trasformare la violenza in amore? La gelosia in rispetto e fiducia? Il razzismo in inclusione?
“Eh se lo sapessi non farei il regista, farei il legislatore. Non ho una risposta, poi non amo i tuttologi che sanno tutto di tutti. Io già faccio fatica a fare mediamente bene il mio mestiere. I film servono a porre domande. Non a dare risposte. Io metto sul piatto della bilancia una domanda: se un testo scritto nel 1604, ancora oggi legge perfettamente le dinamiche tossiche di possesso del maschile e del femminile, dobbiamo farci delle domande. Prima noi come maschi e poi, in generale, come società”.
È con questi incontri che si sensibilizzano le nuove generazioni a migliorare?
“Anche con questi incontri. Io penso che qualche film mi ha cambiato la vita. Che qualche romanzo me l’ha migliorata la vita. Che qualche poesia mi ha acceso un faro. Quindi spero semplicemente che questo film possa quantomeno accendere la discussione, che già è tanto. E quando una comunità come quella universitaria si ritrova di fronte a un tema, è importante”.
Che tipo di risposta ha avuto dai ragazzi durante questi incontri?
“Incredibile. Ho iniziato dalla Sapienza, poi sono stato a Napoli, Bari, Taranto, Pescara, Firenze e ho visto come i ragazzi abbiano voglia di confrontarsi, di tirar fuori quello che stanno vivendo. Io glielo dico sempre: io lo so che dentro le aule ci sono una o due ragazze che sicuramente, in quel momento, sta vivendo una relazione tossica, che ha un fidanzato un po’ prevaricante. E sapeste quanti occhi ho visto abbassarsi in questi giorni… Noi come artisti, da questo punto di vista, abbiamo delle responsabilità, non di trovare soluzioni, ma di accendere la discussione sì”.
Edoardo Leo, all’Università di Firenze, ha dunque incontrato gli studenti per confrontarsi sui suddetti temi. E l’incontro, che ha riscosso un importante successo in fatto di adesione e affluenza di studenti, è stato introdotto dalla rettrice dell’Università di Firenze, Alessandra Petrucci ed è stato moderato da Chiara Brilli, direttrice editoriale di Controradio.
Edoardo, perché la decisione di precedere l’uscita nelle sale del film con una serie di incontri con gli studenti in tutta Italia e, oggi, qui a Firenze?
“Perché questo film è proprio diverso da tutte le cose che ho fatto negli ultimi anni. C’era la possibilità di discutere con gli studenti dell’Università di tanti temi, sia dal punto di vista contenutistico – è un film che parla di violenza di genere, di femminicidi, temi drammaticamente contemporanei – e c’era qualcosa che era più attinente al mondo accademico, ovvero capire come un grande classico riesce a rileggere il contemporaneo, capire insieme agli studenti che tipo di lavoro è stato fatto sulla traduzione dall’inglese in dialetto di quest’opera. Quindi, messe sul piatto della bilancia tutte queste cose, ci siamo convinti, insieme al produttore e al distributore, che potevamo chiedere agli atenei di ospitarci e fare queste MasterClass. E quasi tutti hanno aderito con grande entusiasmo”.
La storia di Otello racconta di un femminicidio. Ecco, leggendo negli occhi degli studenti, che sensibilità ha captato tra i giovani di oggi sui temi di grande attualità?
“Molto più alta di quella che viene attribuita a questa generazione. Dico spesso che questa generazione viene tacciata di essere distratta, attenta solo a quello che succede sui social, mentre io la penso diversamente. Sono ragazzi molto più informati di noi, molto più sensibili di noi. Bisogna dar loro attenzione, contenuti giusti e quello che sto scoprendo girando le Università, è che sono attenti, partecipi, che hanno voglia di questi incontri e hanno voglia di discutere di questi temi, perché siamo talmente che in ritardo che non si può più aspettare”.
Violenza di genere, gelosia, razzismo: passano gli anni, passano i tempi, ma sono temi che continuano a rimanere vivi. Come poter trasformare la violenza in amore? La gelosia in rispetto e fiducia? Il razzismo in inclusione?
“Eh se lo sapessi non farei il regista, farei il legislatore. Non ho una risposta, poi non amo i tuttologi che sanno tutto di tutti. Io già faccio fatica a fare mediamente bene il mio mestiere. I film servono a porre domande. Non a dare risposte. Io metto sul piatto della bilancia una domanda: se un testo scritto nel 1604, ancora oggi legge perfettamente le dinamiche tossiche di possesso del maschile e del femminile, dobbiamo farci delle domande. Prima noi come maschi e poi, in generale, come società”.
È con questi incontri che si sensibilizzano le nuove generazioni a migliorare?
“Anche con questi incontri. Io penso che qualche film mi ha cambiato la vita. Che qualche romanzo me l’ha migliorata la vita. Che qualche poesia mi ha acceso un faro. Quindi spero semplicemente che questo film possa quantomeno accendere la discussione, che già è tanto. E quando una comunità come quella universitaria si ritrova di fronte a un tema, è importante”.
Che tipo di risposta ha avuto dai ragazzi durante questi incontri?
“Incredibile. Ho iniziato dalla Sapienza, poi sono stato a Napoli, Bari, Taranto, Pescara, Firenze e ho visto come i ragazzi abbiano voglia di confrontarsi, di tirar fuori quello che stanno vivendo. Io glielo dico sempre: io lo so che dentro le aule ci sono una o due ragazze che sicuramente, in quel momento, sta vivendo una relazione tossica, che ha un fidanzato un po’ prevaricante. E sapeste quanti occhi ho visto abbassarsi in questi giorni… Noi come artisti, da questo punto di vista, abbiamo delle responsabilità, non di trovare soluzioni, ma di accendere la discussione sì”.
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