La meravigliosa storia di Gino Bartali e il Museo di Ponte a Ema

Firenze è stata da poco cornice della partenza del Tour De France, un evento unico che ha visto la nostra città accogliere ciclisti e appassionati di ciclismo da tutto il mondo per assistere a questo spettacolo. Per le vie del centro storico, attraverso quella che è la storia della nostra Firenze, fino su al piazzale Michelangelo e nei paesini limitrofi uno scorrere intenso e silenzioso di sportivi il cui rumore era solo il tifo e l’incoraggiamento dei fans e degli appassionati che hanno riempito i bordi del percorso.

Il mondo del ciclismo da che ne abbiamo memoria esiste, la prima gara ciclistica si svolse nel 1868, prevedeva 1200 metri nel parco di Saint-Cloud vicino Parigi e fu vinta da James Moore, inglese che viveva in Francia, lo stesso Moore che l’anno successivo vinse la Parigi- Rouen percorrendo i 123 chilometri in 10 ore.

In Italia aspettammo il 1870 per la Firenze-Pistoia che vide 23 concorrenti che si sfidarono sui 33 chilometri di distanza, la prima gara su strada con partecipazione internazionale.

Nel corso degli anni iniziarono le prime gare ciclistiche di professionisti che ancora oggi vengono corse come il Tour de France nato nel 1903, il Giro del Belgio nel 1908, nel 1909 arrivò il Giro d’Italia e nel 1911 la Volta a Catalunya.

L'epoca d'oro del ciclismo su strada, è stata tra gli anni trenta e cinquanta, ed è proprio in questi anni che in Italia si videro le imprese di Gino Bartali che vinse per 3 volte il Giro d’Italia di cui due consecutive: 1936-1937-1946, oltre a due vittorie del Tour De France nel 1938 e nel 1948. Quest’ultima data passò alla storia per l’impresa epica di Bartali: il giorno successivo all'attentato a Togliatti infatti, ci fu la tappa che resta ancora adesso nei libri di storia dello sport italiano come impresa unica, dalla Croisette di Cannes verso Briançon. In Italia all’epoca la situazione era estremamente tesa e fu così che Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio italiano in carica, chiamò Bartali e (da ricostruzioni) gli chiese di vincere il Tour per l’Italia. L’indomani Bartali montò in sella alla sua bicicletta e, dopo 263 chilometri, tagliò per primo il traguardo di Aix-les-Bains.

Nato a Ponte a Ema nel 1914, alle porte di Firenze, Gino Bartali fu uno dei più grandi corridori italiani e mondiali di sempre, ricordato anche come grande avversario di Fausto Coppi.

Ma non tutti sanno che proprio per volontà dello stesso Bartali, a Ponte a Ema è visitabile il Museo del Ciclismo Gino Bartali con ingresso gratuito che ospita una mostra dedicata al Tour de France e che raccoglie la storia e le principali tappe con aneddoti misteri e tanti segreti da scoprire.

Un percorso fra avvenimenti, biciclette e curiosità, dettagli e passione si respirano per quelle stanze che con semplicità

raccontano avventure e caratteristiche di quelle fatidiche gare. Una vera immersione in quello che è lo sport più antico, che negli anni si è evoluto e perfezionato, ma che vede ancora oggi il cuore dei ciclisti pedalare in onore dei loro predecessori.

All’inizio del secolo scorso, gare come il Tour de France avevano percorsi lunghi e strade sterrate, nessuna assistenza, pedalavano con i copertoni di ricambio a tracolla ed erano da soli a doversi aggiustare la bicicletta. Biciclette pesanti e non aerodinamiche e senza rapporti, quindi salite e discese non avevano differenza era solo la potenza delle gambe a distinguerle. E fu proprio in questo periodo che si affermarono i primi miti del ciclismo come Bottecchia, Guerra e Binda.

Insomma condizioni ben diverse da quelle che conosciamo oggi, veri e propri sforzi fisici, senza abbigliamento tecnico per estate e inverno, infatti spesso fra una tappa e l’altra passavano 2-3 giorni per dare tempo ai ciclisti di riprendersi.

A promuovere il Museo del ciclismo Gino Bartali, dedicato al grande campione Toscano delle due ruote, è l’Associazione Amici del Museo del Ciclismo Gino Bartali, il cui Direttore è Maurizio Bresci. Associazione nata nel 1996 quando Gino Bartali chiamò l’ideatore e fondatore Maurizio Bresci e comunicò che avrebbe donato alcuni cimeli del suo percorso storico.

Biciclette, maglie, coppe, medaglie, trofei, foto, documenti, libri, riviste, pubblicazioni, quadri e interviste; nel museo

sono esposti gli oggetti più significativi della lunga Carriera del Campione, dal 1931 al 1954.

Una esperienza tutta da vivere per conoscere un personaggio che ha fatto la storia del ciclismo.

Ma non solo, infatti in una stanza del Museo è possibile scoprire anche come fra i primi del 900 e il secondo dopoguerra, la bicicletta non fosse solo un mezzo utilizzato per gare sportive ma anche per i mestieri. Una passione che univa lo sport e uno spaccato di vita popolare.

La bicicletta infatti nasconde una storia ricca di interessanti sorprese come ci dimostra un piccolo “assaggio” della collezione privata di Marco Paoletti (collezionista appassionato di oggetti antichi che possiede infatti una delle raccolte più importante di biciclette d’epoca), che ci permette di scoprire Le biciclette dei mestieri all’interno del Museo del Ciclismo Gino Bartali.

Pompiere, calzolaio, falegnami, argentieri, gelataio, norcino, spazzacamino, fotografo, ombrellaio e altre mille professioni che avevano attrezzato la propria bicicletta con minuzia e precisione per il mestiere nell’ambito del quale veniva utilizzata.

Dei capolavori dell’ingegno, delle vere e proprie botteghe ambulanti, che in un minimo spazio avevano tutto l’occorrente per prestare un servizio sulle due ruote.

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