Ci stavo pensando in questi giorni. Pensieri tristi, misti a un po’ di rabbia. Del resto, ce lo siamo detti tante volte in questi due anni. “Com’è possibile, in una città come Firenze, a due passi in linea d’aria dal centro, che una bimba possa sparire nel nulla?”. Domanda retorica, che non ha una vera risposta, se non quella (semplicistica e superficiale) per cui ormai viviamo in un mondo totalmente insicuro, in mano alla delinquenza, e contro il quale non si possa/debba far altro (vedi decreto sicurezza) che inventarsi reati e/o aumentare le pene per quelli già esistenti.
Poi, a pochi giorni del tristissimo anniversario (Kata è scomparsa il 10 giugno 2023) ecco arrivare l’identikit di come “potrebbe essere oggi”. Segno evidente di come la procura non si sia ancora arresa ad una triste realtà e di come stia ancora cercando una verità sperando, va da sé, che si arrivi ad un lieto fine. Difficile, ahinoi, ma forse non impossibile.
Detto questo, quel punto interrogativo e quelle domande restano. “Com’è stato possibile?”. E a questa, se ne aggiunge una seconda. “Nel frattempo, qualcosa è cambiato?”. Di sicuro si può intravedere un’attenzione maggiore (anche a sinistra, e quindi nell’amministrazione) ai temi legati alla sicurezza. Per intervenire sul serio però, bisogna/bisognerebbe incidere sulle cause e, quindi, prevenire. Perche disagio, emergenze abitativa, rifiuto dell’immigrato e del diverso, sono temi e problemi veri che si possono includere in un unico, maxi insieme: quello della povertà.
Cavalcare o soffiare sul fuoco delle paure insomma può sicuramente portare qualche voto, ma non risolverà mai i problemi. Anzi. Alla lunga, non farà altro che aggravarli. Per questo la triste storia della piccola Kata, comunque si conclude, dovrebbe almeno servire da lezione e monito. Per capire da dove nasce, e per evitare che si ripeta.
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