Le svastiche al Michelangelo. Le scritte inneggianti Acca Larentia in via Pisana. Premessa: qua nessuno pensa o teme che stiano per tornare le camicie nere o che qualcuno stia per (ri)marciare su Roma. Il fascismo insomma, per come (purtroppo) abbiamo conosciuto, vissuto e inventato (sig) in Italia è morto (si spera) e sepolto per sempre. Il problema però, e così veniamo al nocciolo della questione, è proprio questo. Averlo sepolto, senza farci realmente i conti e senza che le nuove generazioni sapessero (e sappiano) di cosa stiamo parlando e a cosa e a chi, quindi, stanno inneggiando.
Ci pensavo in questi giorni, leggendo il quarto capitolo di M, il romanzo a puntate di Antonio Scurati e aspettando il primo episodio della serie tv in uscita nei prossimi giorni. A scuola, certe cose, non me le hanno mai raccontate. Sui libri, la vera e profonda storia del fascismo, non c’è. Forse perché dopo anni in cui si è sfiorata la guerra civile c’è stata una specie di tacito accordo (appunto) per seppellire tutto, memoria compresa, senza calcar troppo la mano. Un errore? Probabilmente si, ma non sta a me o a noi dirlo. Di certo c’è che nel 2025, a 80 anni dalla liberazione, forse è venuto il momento di raccontare a tutti, e non solo a chi vuole comprare libri o scegliere una serie tv, cosa è stato (fino in fondo) il fascismo. Non servirebbe a nulla, forse, ma magari quei giovani (perché di questo si parla, giovani) che imbrattano muri con svastiche, croci celtiche o scritta indegne un po’ di vergogna la prossima volta la proveranno.
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