I diritti della donna vanno oltre l’8 marzo. E oltre la giornata mondiale contro la violenza di genere. Perché una donna è tale per 365 giorni all’anno, non deve essere discriminata e ha bisogno di essere rispettata in ogni momento della sua vita: dalla società, dal mondo del lavoro, dagli uomini e da tutti.
Negli ultimi 80 anni di storia, sono stati fatti passi da gigante in favore della parità di genere e dei diritti delle donne. Lo abbiamo già sottolineato nel primo appuntamento di questo approfondimento di Firenzedintorni.it: dal riconoscimento del diritto al voto nel 1945 all’introduzione della Legge sul divorzio nel 1970, dall’introduzione della Legge sull’aborto nel 1978 fino all’abrogazione delle disposizioni sul delitto di onore nel 1981 (ed è assurdo che in qualche parte del mondo ancora esista il reato commesso per vendicare il proprio onore e quello della propria famiglia, come in Pakistan). Nonostante tutto, ancora oggi, nel 2025, ci sono delle importanti lacune che non consentono alla donna di essere considerata come l’uomo dalla società. O da parte di essa.
Sono ancora poche le donne ai vertici dei posti di lavoro di rilievo. Sono ancor meno le donne che percepiscono lo stesso guadagno degli uomini a parità di impiego e di impegno. Non sono ancora sufficienti le donne che hanno una propria indipendenza economica. Ma soprattutto sono ancora troppe le donne vittime di violenza: denigrate, maltrattate, uccise.
Volere è potere, si usa dire. E allora, la speranza è che la donna, che almeno in politica sta diventando sempre più una figura su cui scommettere per amministrare comuni e per provare a migliorare quello che nel nostro paese non va, magari restituendo credibilità al ruolo della politica agli occhi di molti elettori, possa aiutare le altre donne a beneficiare dei diritti fin qui (ancora) negati.
Ne abbiamo parlato con Cristina Scaletti, sindaca di Fiesole dal 2024.
Partiamo dalla Toscana, dove le sindache donna sono aumentate rispetto al passato. Basti pensare a lei, qui a Fiesole. A Sara Funaro per il Comune di Firenze, Claudia Sereni a Scandicci, Ilaria Bugetti a Prato, Nicoletta Fabio a Siena e Serena Arrighi a Carrara – ma voglio ricordare anche Brenda Barnini, sindaca uscente a Empoli dopo 10 anni di mandato. Ecco, parto col chiederle se l’aumento delle quote rosa a capo dei Comuni può aiutare la battaglia per raggiungere la parità di genere in vari ambiti della società moderna dove, per esempio, le donne non raggiungono lo stesso numero degli uomini nelle posizioni di vertice nel mondo del lavoro…
“Sicuramente l’aumento delle donne a capo dei comuni è un fattore determinante per fare in modo che si diffonda ancora di più la cultura della parità di genere, la cultura del potersi interfacciare con tutte le variegate qualità delle donne. Abbiamo anche la fortuna di avere una donna a capo dell’Anci in Toscana (Susanna Cenni), una donna segretaria del maggior partito del centro sinistra in Italia (Elly Schlein), una donna anche a capo del Governo centrale (Giorgia Meloni) e tutto questo comporta un aumento della sensibilità collettiva, sia del genere maschile ma anche di quello femminile, che si può fare, ci si può impegnare e si deve riuscire tutti insieme a fare del movimento femminile un movimento di parità e di uguaglianza, nella diversità. Perché noi donne siamo diverse”.
Sicuramente tanto è stato fatto dal 1945 a oggi, ma è anche vero che molto altro ancora dovrà essere affrontato per raggiungere l’uguaglianza, per esempio, per quanto riguarda i salari, dove la disparità tra uomo e donna è ancora tangibile. Cosa pensa di questo aspetto e come si può intervenire?
“L’adeguamento salariale e l’autonomia economica sono un passaggio fondamentale sia sociale sia culturale e anche un passo determinante per l’acquisizione della libertà per una donna, per essere e fare quello che desidera. Quindi è un aspetto assolutamente centrale. Leggevo poco tempo fa che c’è una percentuale altissima - mi sembra intorno al 30% - di donne che non hanno un conto corrente intestato e questo significa che, nonostante ci si stia sforzando per raggiungere con leggi europee anche datate la parità di genere, c’è tanto da lavorare dal punto di vista culturale e per quanto riguarda gli stereotipi sociali che devono essere pian piano scardinati. Ma sono fiduciosa, ci arriveremo”.
È d’accordo sul fatto che l’indipendenza economica sia uno dei primi tasselli per garantire l’uguaglianza tra uomo e donna, considerando anche che la donna, spesso, fa più di un uomo: lavora, manda avanti una casa, la famiglia, accudisce i figli…
“Esatto. La donna fa tanto. Quando dicevo che dobbiamo essere uguali nella diversità è proprio per questo, perché la donna è in grado di svolgere con la stessa passione e con lo stesso impegno tutte le attività: da quella strettamente professionale a quel lavoro che svolge in casa. Essere caregiver. Oggi, gran parte dei caregiver della nostra società sono al femminile. Sono donne che si occupano dei figli o dei genitori. Donne che affiancano nella cura le persone in difficoltà. Donne che si occupano della casa, che vanno a fare la spesa e si occupano della famiglia a 360°, anche quelle che non hanno grandi difficoltà. Quindi, quello della donna è un lavoro che, se vogliamo, dovrebbe avere addirittura un surplus salariale proprio per questo”.
Quindi lei è d’accordo sul fatto che le casalinghe dovrebbero percepire uno stipendio. È un argomento di cui si parla molto…
“Assolutamente sì, perché è un lavoro a tutti gli effetti. Un lavoro molto spesso oscuro, sottovalutato, non compreso, frustrante, non gratificante se non nella misura in cui una donna si gratifica delle cose che riesce a fare. Ma ci vuole anche un riconoscimento sociale”.
Siamo ancora legati a spot sessisti che riguardano l’inadeguatezza della donna, secondo il mondo maschile, nello svolgere determinate mansioni e cimentarsi in professioni appellate “da uomini”. Penso allo sport. Penso al calcio. Lei, che è stata responsabile scientifica dell’area sanitaria della Fiorentina femminile, ha respirato questa discriminazione intorno alle ragazze? E soprattutto, come poter invertire la tendenza a sminuire il ruolo della donna in certi ambiti?
“Ci vogliono tanti passaggi per invertire tendenze e per destrutturarle, disinnescarle. L’esperienza con la Fiorentina femminile è stata bellissima, prima ancora che sportiva direi proprio di diritti. Lì fu una normativa a chiedere a tutti i club di serie A maschile di dotarsi di una squadra femminile. E quindi lo impose alla serie A. All’inizio, le donne giocavano in campi diversi rispetto a quelli maschili e anche le coppe, i premi erano diversi da quelle dei maschi: ne rimasi sorpresa, era un mondo dove sembrava di essere in due universi paralleli. Poi, piano piano, queste ragazze, che hanno cominciato a giocare ma molte delle quali, nel frattempo, lavoravano, studiavano, non avevano stipendi se non qualche rimborso spesa, c’hanno creduto talmente tanto, che hanno contagiato tutte le altre donne e gli altri uomini e oggi, finalmente, il calcio femminile è diventato professionista. Quindi le sfide, quelle giuste, alla fine si vincono. E quella Fiorentina – tra l’altro – ha vinto anche altro: un campionato, due coppe Italia, una supercoppa, arrivando anche in Champions League. E lo racconto spesso, ci sentiamo sempre con le donne che hanno fatto parte di questo straordinario percorso, ci sentiamo sempre per ricordarci che se ci uniamo e facciamo le cose insieme siamo fortissime”.
E la diffidenza iniziale?
“Sì, l’ho avvertita. Il calcio era considerato uno sport prettamente maschile – e tutt’ora c’è un pregiudizio di questo tipo –. Però mi ricordo che anche nella pallavolo, all’inizio, c’era questa disparità e il volley femminile aveva sicuramente una forza diversa rispetto a quello maschile, mentre ora addirittura, la pallavolo al femminile è considerata tecnicamente quasi più affascinante, grazie al fraseggio e un modo di giocare che qualifica molto (appunto) la tecnica, non solo la forza. Questo per dire che noi donne possiamo emergere anche in questo. Speriamo che presto si possano abbassare le distanze tra calcio maschile e femminile, sia da un punto di vista di presenze negli stadi sia da un punto di vista salariale, perché la dignità passa attraverso l’equiparazione di ruoli manageriali, apicali, salariali e di riconoscimento pubblico di quello che le donne sanno fare. Questo è un passaggio estremamente importante”.
Dall’aspetto economico e di realizzazione professionale a quello legato alla violenza di genere, che sembra impossibile da sconfiggere. Da dove si può partire per sradicare – realmente – il malsano vizio della violenza sulla donna, che non è solo quella fisica ma anche quella psicologica? Basta la base della famiglia?
“No. È un dramma al quale assistiamo e che si rinnova ogni anno quando, purtroppo, facciamo la verifica di quante violenze sulle donne sono state commesse dell’anno in corso e dell’anno precedente. Credo che, insieme a tutte le cose che abbiamo già detto e che sono fondamentali, la cultura possa fare realmente la differenza. Parlo della cultura in senso lato, la cultura dell’uguaglianza, della giustizia, la cultura della parola contro il silenzio, contro la solitudine, contro la vergogna. Una cultura plurale dove ognuno di noi si renda responsabile che alcune cose non si possono fare. Non si devono fare. Non sono divertenti. E non è accettabile ascoltare dal commento alla presa in giro, dal chiedersi “ma com’era vestita…” fino ad arrivare, ovviamente, ai agli episodi di violenza efferata.
Perché, ricordiamolo ancora una volta, la violenza non è solo quella fisica ma anche quella psicologica e morale…
“Esattamente, io quando vado nelle scuole, racconto sempre che tutti noi ci scandalizziamo quando vediamo un crimine efferato come quello dell’omicidio e femminicidio di una donna, ma c’è tutto un passaggio antecedente che deve essere disinnescato, e passa attraverso le cose che ci stiamo dicendo. Attraverso chi non dice no di fronte al commento, alla battuta, al silenzio, all’abbassare lo sguardo. Bisognerebbe essere tutti satelliti, forti, decisi e convinti che nei confronti di una donna, così come nei confronti di tutti gli individui che hanno una qualsiasi fragilità – perché questa cosa succede anche verso chi ha orientamento sessuale diverso, chi ha differenza del colore della pelle, verso chi ha una qualche diversità – la violenza è da condannare. Se tutte le diversità iniziassimo a considerarle delle ricchezze, forse riusciremmo a seminare il seme della pace, dell’uguaglianza, della giustizia. Il passaggio è lungo, è necessario, non dobbiamo fermarci alla giornata contro la violenza sulle donne né all’8 marzo in cui si festeggia la donna, ma dobbiamo ricordare ogni giorno che non è sufficiente un’azione di proclamo, c’è bisogno di un’azione concreta, perché la difesa del diritto di un altro non lede mai il nostro, anzi, prima o poi raggiungerà anche noi stessi quando avremo bisogno noi di essere difesi”.
La cultura attraverso incontri con le scuole e la certezza che chi sbaglia deve pagare, rispettando leggi che già ci sono: sono due aspetti per provare ad annullare la violenza sulle donne?
“Sì. Noi facciamo tanti incontri con gli studenti per sensibilizzarli su questo argomento e, per quanto riguarda le leggi, ci sono e sono d’accordo sul fatto che devono essere rispettate. Non si può non essere intransigenti verso chi compie gesti efferati. Aggiungo che occorre che la società si muova congiuntamente prima ancora che tutto questo succeda, quindi la famiglia, la scuola, la politica, le istituzioni e la gente per strada devono iniziare a difendere il prossimo nel momento in cui si trova in difficoltà, se non anticipare quello che può accadere, perché a volte si riesce a percepirlo”.
La richiesta di ostentazione della bellezza della donna in certi ambiti (penso a programmi televisivi, donna immagine, etc) può essere considerata violenza? La donna deve apparire per forza mostrando se stessa per attirare l’attenzione del pubblico?
“La bellezza, al pari dell’intelligenza, della sensibilità e della profondità, ha un’accezione sicuramente positiva. Il problema sorge quando la bellezza diventa una prigione dorata, dove la donna è costretta ad abitare per apparire. Dove viene guardata se è bella, ma non vista oltre quella bellezza che diventa identitaria, perché se non sei bella, non sei. E dove diventa un elemento valoriale: io valgo se sono bella. Questa necessità dell’apparire in una società dove l’esteriorità conta così tanto, oggi, vale anche un po’ per l’universo maschile, ma verso la donna è ancora più spietata per la temporalizzazione in cui tutto questo ulteriormente si abbatte. S’induce la donna a pensare che occorra essere belle. Io, per esempio, sono fiera dei miei anni e dei segni del tempo che porto, ma quante donne effettivamente non vengono sopraffatte da questa richiesta di esteriorità? Dunque, anche qui c’è bisogno di cultura: i media e le televisioni, in questo, potrebbero e dovrebbero fare tanto. Ma non in tutti i paesi è così. In alcuni paesi non è richiesta in maniera ostentata un certo tipo di apparenza. Io ho una figlia di 21 anni e si dovrebbe far credere che l’attenzione verso il sé è importante, ma deve essere una cosa personale, una cosa che ci fa crescere insieme alla nostra interiorità, non il bisogno di essere bella perché altrimenti non si vale abbastanza. Non si è abbastanza. Per essere uguale agli altri. O per avere la possibilità di lavorare”.
Vuole aggiungere qualcos’altro?
“Sì, un’altra riflessione. Su quanto sia spietata questa prigione della bellezza e quanto sia diversa la percezione sul maschile e sul femminile, per un uomo oggi è tollerato avere una donna molto più giovane come compagna. Vediamo quanta discussione ha suscitato, invece, il fatto che Macron avesse una donna più grande come moglie. Ancora c’è la percezione che la donna ha un tempo limitato per poter raggiungere quello che deve raggiungere, ed è mostruoso. Questa è veramente una grande violenza”.
Negli ultimi 80 anni di storia, sono stati fatti passi da gigante in favore della parità di genere e dei diritti delle donne. Lo abbiamo già sottolineato nel primo appuntamento di questo approfondimento di Firenzedintorni.it: dal riconoscimento del diritto al voto nel 1945 all’introduzione della Legge sul divorzio nel 1970, dall’introduzione della Legge sull’aborto nel 1978 fino all’abrogazione delle disposizioni sul delitto di onore nel 1981 (ed è assurdo che in qualche parte del mondo ancora esista il reato commesso per vendicare il proprio onore e quello della propria famiglia, come in Pakistan). Nonostante tutto, ancora oggi, nel 2025, ci sono delle importanti lacune che non consentono alla donna di essere considerata come l’uomo dalla società. O da parte di essa.
Sono ancora poche le donne ai vertici dei posti di lavoro di rilievo. Sono ancor meno le donne che percepiscono lo stesso guadagno degli uomini a parità di impiego e di impegno. Non sono ancora sufficienti le donne che hanno una propria indipendenza economica. Ma soprattutto sono ancora troppe le donne vittime di violenza: denigrate, maltrattate, uccise.
Volere è potere, si usa dire. E allora, la speranza è che la donna, che almeno in politica sta diventando sempre più una figura su cui scommettere per amministrare comuni e per provare a migliorare quello che nel nostro paese non va, magari restituendo credibilità al ruolo della politica agli occhi di molti elettori, possa aiutare le altre donne a beneficiare dei diritti fin qui (ancora) negati.
Ne abbiamo parlato con Cristina Scaletti, sindaca di Fiesole dal 2024.
Partiamo dalla Toscana, dove le sindache donna sono aumentate rispetto al passato. Basti pensare a lei, qui a Fiesole. A Sara Funaro per il Comune di Firenze, Claudia Sereni a Scandicci, Ilaria Bugetti a Prato, Nicoletta Fabio a Siena e Serena Arrighi a Carrara – ma voglio ricordare anche Brenda Barnini, sindaca uscente a Empoli dopo 10 anni di mandato. Ecco, parto col chiederle se l’aumento delle quote rosa a capo dei Comuni può aiutare la battaglia per raggiungere la parità di genere in vari ambiti della società moderna dove, per esempio, le donne non raggiungono lo stesso numero degli uomini nelle posizioni di vertice nel mondo del lavoro…
“Sicuramente l’aumento delle donne a capo dei comuni è un fattore determinante per fare in modo che si diffonda ancora di più la cultura della parità di genere, la cultura del potersi interfacciare con tutte le variegate qualità delle donne. Abbiamo anche la fortuna di avere una donna a capo dell’Anci in Toscana (Susanna Cenni), una donna segretaria del maggior partito del centro sinistra in Italia (Elly Schlein), una donna anche a capo del Governo centrale (Giorgia Meloni) e tutto questo comporta un aumento della sensibilità collettiva, sia del genere maschile ma anche di quello femminile, che si può fare, ci si può impegnare e si deve riuscire tutti insieme a fare del movimento femminile un movimento di parità e di uguaglianza, nella diversità. Perché noi donne siamo diverse”.
Sicuramente tanto è stato fatto dal 1945 a oggi, ma è anche vero che molto altro ancora dovrà essere affrontato per raggiungere l’uguaglianza, per esempio, per quanto riguarda i salari, dove la disparità tra uomo e donna è ancora tangibile. Cosa pensa di questo aspetto e come si può intervenire?
“L’adeguamento salariale e l’autonomia economica sono un passaggio fondamentale sia sociale sia culturale e anche un passo determinante per l’acquisizione della libertà per una donna, per essere e fare quello che desidera. Quindi è un aspetto assolutamente centrale. Leggevo poco tempo fa che c’è una percentuale altissima - mi sembra intorno al 30% - di donne che non hanno un conto corrente intestato e questo significa che, nonostante ci si stia sforzando per raggiungere con leggi europee anche datate la parità di genere, c’è tanto da lavorare dal punto di vista culturale e per quanto riguarda gli stereotipi sociali che devono essere pian piano scardinati. Ma sono fiduciosa, ci arriveremo”.
È d’accordo sul fatto che l’indipendenza economica sia uno dei primi tasselli per garantire l’uguaglianza tra uomo e donna, considerando anche che la donna, spesso, fa più di un uomo: lavora, manda avanti una casa, la famiglia, accudisce i figli…
“Esatto. La donna fa tanto. Quando dicevo che dobbiamo essere uguali nella diversità è proprio per questo, perché la donna è in grado di svolgere con la stessa passione e con lo stesso impegno tutte le attività: da quella strettamente professionale a quel lavoro che svolge in casa. Essere caregiver. Oggi, gran parte dei caregiver della nostra società sono al femminile. Sono donne che si occupano dei figli o dei genitori. Donne che affiancano nella cura le persone in difficoltà. Donne che si occupano della casa, che vanno a fare la spesa e si occupano della famiglia a 360°, anche quelle che non hanno grandi difficoltà. Quindi, quello della donna è un lavoro che, se vogliamo, dovrebbe avere addirittura un surplus salariale proprio per questo”.
Quindi lei è d’accordo sul fatto che le casalinghe dovrebbero percepire uno stipendio. È un argomento di cui si parla molto…
“Assolutamente sì, perché è un lavoro a tutti gli effetti. Un lavoro molto spesso oscuro, sottovalutato, non compreso, frustrante, non gratificante se non nella misura in cui una donna si gratifica delle cose che riesce a fare. Ma ci vuole anche un riconoscimento sociale”.
Siamo ancora legati a spot sessisti che riguardano l’inadeguatezza della donna, secondo il mondo maschile, nello svolgere determinate mansioni e cimentarsi in professioni appellate “da uomini”. Penso allo sport. Penso al calcio. Lei, che è stata responsabile scientifica dell’area sanitaria della Fiorentina femminile, ha respirato questa discriminazione intorno alle ragazze? E soprattutto, come poter invertire la tendenza a sminuire il ruolo della donna in certi ambiti?
“Ci vogliono tanti passaggi per invertire tendenze e per destrutturarle, disinnescarle. L’esperienza con la Fiorentina femminile è stata bellissima, prima ancora che sportiva direi proprio di diritti. Lì fu una normativa a chiedere a tutti i club di serie A maschile di dotarsi di una squadra femminile. E quindi lo impose alla serie A. All’inizio, le donne giocavano in campi diversi rispetto a quelli maschili e anche le coppe, i premi erano diversi da quelle dei maschi: ne rimasi sorpresa, era un mondo dove sembrava di essere in due universi paralleli. Poi, piano piano, queste ragazze, che hanno cominciato a giocare ma molte delle quali, nel frattempo, lavoravano, studiavano, non avevano stipendi se non qualche rimborso spesa, c’hanno creduto talmente tanto, che hanno contagiato tutte le altre donne e gli altri uomini e oggi, finalmente, il calcio femminile è diventato professionista. Quindi le sfide, quelle giuste, alla fine si vincono. E quella Fiorentina – tra l’altro – ha vinto anche altro: un campionato, due coppe Italia, una supercoppa, arrivando anche in Champions League. E lo racconto spesso, ci sentiamo sempre con le donne che hanno fatto parte di questo straordinario percorso, ci sentiamo sempre per ricordarci che se ci uniamo e facciamo le cose insieme siamo fortissime”.
E la diffidenza iniziale?
“Sì, l’ho avvertita. Il calcio era considerato uno sport prettamente maschile – e tutt’ora c’è un pregiudizio di questo tipo –. Però mi ricordo che anche nella pallavolo, all’inizio, c’era questa disparità e il volley femminile aveva sicuramente una forza diversa rispetto a quello maschile, mentre ora addirittura, la pallavolo al femminile è considerata tecnicamente quasi più affascinante, grazie al fraseggio e un modo di giocare che qualifica molto (appunto) la tecnica, non solo la forza. Questo per dire che noi donne possiamo emergere anche in questo. Speriamo che presto si possano abbassare le distanze tra calcio maschile e femminile, sia da un punto di vista di presenze negli stadi sia da un punto di vista salariale, perché la dignità passa attraverso l’equiparazione di ruoli manageriali, apicali, salariali e di riconoscimento pubblico di quello che le donne sanno fare. Questo è un passaggio estremamente importante”.
Dall’aspetto economico e di realizzazione professionale a quello legato alla violenza di genere, che sembra impossibile da sconfiggere. Da dove si può partire per sradicare – realmente – il malsano vizio della violenza sulla donna, che non è solo quella fisica ma anche quella psicologica? Basta la base della famiglia?
“No. È un dramma al quale assistiamo e che si rinnova ogni anno quando, purtroppo, facciamo la verifica di quante violenze sulle donne sono state commesse dell’anno in corso e dell’anno precedente. Credo che, insieme a tutte le cose che abbiamo già detto e che sono fondamentali, la cultura possa fare realmente la differenza. Parlo della cultura in senso lato, la cultura dell’uguaglianza, della giustizia, la cultura della parola contro il silenzio, contro la solitudine, contro la vergogna. Una cultura plurale dove ognuno di noi si renda responsabile che alcune cose non si possono fare. Non si devono fare. Non sono divertenti. E non è accettabile ascoltare dal commento alla presa in giro, dal chiedersi “ma com’era vestita…” fino ad arrivare, ovviamente, ai agli episodi di violenza efferata.
Perché, ricordiamolo ancora una volta, la violenza non è solo quella fisica ma anche quella psicologica e morale…
“Esattamente, io quando vado nelle scuole, racconto sempre che tutti noi ci scandalizziamo quando vediamo un crimine efferato come quello dell’omicidio e femminicidio di una donna, ma c’è tutto un passaggio antecedente che deve essere disinnescato, e passa attraverso le cose che ci stiamo dicendo. Attraverso chi non dice no di fronte al commento, alla battuta, al silenzio, all’abbassare lo sguardo. Bisognerebbe essere tutti satelliti, forti, decisi e convinti che nei confronti di una donna, così come nei confronti di tutti gli individui che hanno una qualsiasi fragilità – perché questa cosa succede anche verso chi ha orientamento sessuale diverso, chi ha differenza del colore della pelle, verso chi ha una qualche diversità – la violenza è da condannare. Se tutte le diversità iniziassimo a considerarle delle ricchezze, forse riusciremmo a seminare il seme della pace, dell’uguaglianza, della giustizia. Il passaggio è lungo, è necessario, non dobbiamo fermarci alla giornata contro la violenza sulle donne né all’8 marzo in cui si festeggia la donna, ma dobbiamo ricordare ogni giorno che non è sufficiente un’azione di proclamo, c’è bisogno di un’azione concreta, perché la difesa del diritto di un altro non lede mai il nostro, anzi, prima o poi raggiungerà anche noi stessi quando avremo bisogno noi di essere difesi”.
La cultura attraverso incontri con le scuole e la certezza che chi sbaglia deve pagare, rispettando leggi che già ci sono: sono due aspetti per provare ad annullare la violenza sulle donne?
“Sì. Noi facciamo tanti incontri con gli studenti per sensibilizzarli su questo argomento e, per quanto riguarda le leggi, ci sono e sono d’accordo sul fatto che devono essere rispettate. Non si può non essere intransigenti verso chi compie gesti efferati. Aggiungo che occorre che la società si muova congiuntamente prima ancora che tutto questo succeda, quindi la famiglia, la scuola, la politica, le istituzioni e la gente per strada devono iniziare a difendere il prossimo nel momento in cui si trova in difficoltà, se non anticipare quello che può accadere, perché a volte si riesce a percepirlo”.
La richiesta di ostentazione della bellezza della donna in certi ambiti (penso a programmi televisivi, donna immagine, etc) può essere considerata violenza? La donna deve apparire per forza mostrando se stessa per attirare l’attenzione del pubblico?
“La bellezza, al pari dell’intelligenza, della sensibilità e della profondità, ha un’accezione sicuramente positiva. Il problema sorge quando la bellezza diventa una prigione dorata, dove la donna è costretta ad abitare per apparire. Dove viene guardata se è bella, ma non vista oltre quella bellezza che diventa identitaria, perché se non sei bella, non sei. E dove diventa un elemento valoriale: io valgo se sono bella. Questa necessità dell’apparire in una società dove l’esteriorità conta così tanto, oggi, vale anche un po’ per l’universo maschile, ma verso la donna è ancora più spietata per la temporalizzazione in cui tutto questo ulteriormente si abbatte. S’induce la donna a pensare che occorra essere belle. Io, per esempio, sono fiera dei miei anni e dei segni del tempo che porto, ma quante donne effettivamente non vengono sopraffatte da questa richiesta di esteriorità? Dunque, anche qui c’è bisogno di cultura: i media e le televisioni, in questo, potrebbero e dovrebbero fare tanto. Ma non in tutti i paesi è così. In alcuni paesi non è richiesta in maniera ostentata un certo tipo di apparenza. Io ho una figlia di 21 anni e si dovrebbe far credere che l’attenzione verso il sé è importante, ma deve essere una cosa personale, una cosa che ci fa crescere insieme alla nostra interiorità, non il bisogno di essere bella perché altrimenti non si vale abbastanza. Non si è abbastanza. Per essere uguale agli altri. O per avere la possibilità di lavorare”.
Vuole aggiungere qualcos’altro?
“Sì, un’altra riflessione. Su quanto sia spietata questa prigione della bellezza e quanto sia diversa la percezione sul maschile e sul femminile, per un uomo oggi è tollerato avere una donna molto più giovane come compagna. Vediamo quanta discussione ha suscitato, invece, il fatto che Macron avesse una donna più grande come moglie. Ancora c’è la percezione che la donna ha un tempo limitato per poter raggiungere quello che deve raggiungere, ed è mostruoso. Questa è veramente una grande violenza”.
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