Come i tempi sono cambiati da quel ritiro a Moena dodici anni fa
Dodici e dodici, ventiquattro. Ma i conti non tornano. Flashback: la Fiorentina è nel ritiro di Moena, in val di Fassa. La società ha appena cambiato pelle, con l’addio a Pantaleo Corvino I e l’arrivo di Daniele Pradè in coppia con Eduardo Macia. Sul campo perfetto del Benatti, il centro sportivo sede degli allenamenti, si aggirava uno sconsolato Vincenzo Montella. Il suo entusiasmo, dopo l’esperienza al Catania e una carriera in rapida ascesa, si stava lentamente sgonfiando sotto il sole di una campagna acquisti in dismissione. Via i migliori, dentro i giovani provenienti dalla Primavera e qualche esubero di troppo che non aiutava la costruzione del gruppo. Era quella l’estate degli striscioni di contestazione con Cognini e il suo lungo naso in stile Pinocchio. Il tutto immerso nello splendore della Fata delle Dolomiti. Era, soprattutto, l’estate che svelò al mondo intero e anteprima il capolavoro de “La Notte delle Pernici”. Ovvero il thriller, un po’ giallo, su come un gruppo di ragazzi stranamente assortiti riuscì a intrufolarsi in una baita di montagna, bere e mangiare pressoché di tutto e poi staccare fisicamente dai loro chiodi alcuni uccelli impagliati simbolo di quella valle e reperti ai quali il proprietario del rifugio era follemente affezionato. La notte che cambiò il corso di quella Fiorentina. Montella che chiamò Andrea Della Valle e che pretese un confronto con l’allora presidente viola. Nessuna aria di smobilitazione, rassicurò ADV: soltanto questione di tempo. E così fu. Dopo alcuni giorni di nulla assoluto, con allenamenti apatici e giocatori svogliati, iniziarono ad arrivare i vari Cuadrado, Gonzalo Rodriguez, Borja Valero. Della Valle non fece un passo indietro ma rilanciò il suo progetto. A Montella tornò il sorriso, così come nel triennio con l’aeroplanino l’avrebbero ritrovato, eccome, anche i tifosi viola. Dodici anni dopo, qualcuno vorrebbe paragonare quel periodo a quello attuale. Ovvero a una Fiorentina che cambi quasi totalmente pelle, che perde i suoi giocatori più rappresentativi a vantaggio di giovani, talenti in prospettiva, scommesse più o meno comprensibili, occasioni last minute. Ma qualcosa non torna. Innanzitutto il contesto storico della società: Commisso non ha mai detto di voler rilanciare, semmai di proseguire su una linea già tracciata. Anzi, l’input di questo mercato è chiaro e certificato dai fatti: abbassare il monte ingaggi, liberarsi di quegli stipendi più pesanti per favorire acquisti che siano maggiormente calibrati alle intenzioni future. Quali? Pradè, ancora lui, ha parlato di “ambizione” condivisa dal club e dal nuovo allenatore Palladino. Ma quella di Montella era una Fiorentina che avrebbe conquistato tre quarti posti di fila (a quei tempi però non portavano in Champions), che sarebbe arrivata in finale di Coppa Italia e in semifinale di Europa League. E che, soprattutto, nella mente dei suoi giocatori aveva l’idea di poter competere per i primi posti della classifica. Fu lo stesso Pepito Rossi, qualche anno dopo, a dichiarare che la convinzione del gruppo era quella di poter ambire alla vittoria dello Scudetto. Follia? Possibile. Ma la sensazione interna era quella. La Fiorentina del Pradè atto due, invece, lotta per alzare l’asticella di una classifica che ha visto i viola arrivare ottavi a conclusione del triennio con Italiano. E che lotta a fatica con Atalanta e Bologna sul mercato alla ricerca di colpi intriganti. Difficile ipotizzare un rilancio. Così come differente è lo stile dei suoi allenatori: Palladino lavora con quel che ha, sicuramente potrà essere soddisfatto di alcuni acquisti e in attesa di altri. Ma sa cosa l’attende e quali siano le prospettive future. I tifosi hanno contestato dopo la sconfitta di Atene, hanno chiesto ai giocatori di tirare fuori gli attributi e di farsi da parte a chi non se la sentiva di lottare per questi colori. Alla dirigenza hanno chiesto rispetto e fatti concreti. Ma quel quarto posto sfiorato al termine del girone d’andata pochi mesi fa e poi abbandonato sotto i non colpi del mercato, ha lasciato un segno profondo. E la dirigenza, con Pradè in testa, è attesa a un salto di qualità per rimediare a quegli errori dichiarati dallo stesso direttore sportivo e per i quali ha chiesto pubblicamente scusa. L'estate, la più calda, è appena cominciata.