Intervista a Nicola Armentano sui temi relativi al Tour
A distanza di qualche giorno dalla partenza del Tour de France abbiamo intervistato Nicola Armentano, consigliere della città metropolitana con delega allo sport, nonché uno degli uomini-chiave nell’aver portato un evento così importante a Firenze. Armentano, com’è nata l’idea di portare il Tour de France a Firenze?“È un’idea che da tempo l’ex sindaco Nardella aveva, è stato un lavoro lunghissimo, partito forse in contemporanea al suo primo mandato. Credo che alla fine la costanza, la tenacia, le buone relazioni e il modo di approcciarsi abbiano dato un valore aggiunto, oltre alla bellezza di Firenze. I commenti positivi dei cardini dell’azienda che gestisce il Tour ci hanno fatto molto piacere. La città ha dato prova di essere, ancora una volta, capace di mettere a disposizione una struttura efficiente al quadrato, supportata anche da quell’anima del volontariato che è ancora forte e che si è messa a disposizione per accompagnare la macchina organizzativa, i dirigenti delle nostre amministrazioni, perché ovviamente è stato qualcosa di condiviso tra città metropolitana e comune di Firenze, che hanno permesso di farci vedere uno spettacolo unico, senza pecche... poi a Firenze c’è chi trova il modo di criticare anche quando tutto è perfetto, ma questo fa parte dell’essere fiorentini”. Cosa ha provato durante la partenza e durante il passaggio dei corridori per le vie del centro storico?“Quello che ho percepito quel giorno sinceramente è qualcosa di unico, l’emozione dell’essere protagonista di un evento sportivo di portata mondiale, accompagnata da immagini spettacolari di questa carovana, una marea di persone, l’entusiasmo che si percepiva sia prima che durante il tragitto cittadino, non pensavo di provare emozioni così speciali e uniche. Mi ha ricordato la sensazione dell’ingresso nei grandi stadi olimpici in occasione delle grandi manifestazioni sportive (dove ho partecipato come medico federale, per esempio Atene2004 e Pechino2008). Ecco… quell’emozione mi è sembrata di rivederla quel giorno alle Cascine, dove davvero ad un certo punto ti sembra tutto ordinato, poi quando fanno il conto alla rovescia e a quel punto cresce il pathos, la passione, l’adrenalina e stai lì con questa bandiera che ho avuto l’onore di tenere. Fino ad un certo punto c’è una fermezza, un ordine, un rispetto delle regole e subito dopo non si capisce più niente e l’emozione supera ogni regola, anche l’emozione di chi è lì, accanto alle transenne. Lì vedi la gioia, la bellezza di questo sport che si trasporta dentro gli occhi dei bambini, genitori e anziani che guardano uno spettacolo unico al mondo”. Ci sarà in futuro la possibilità di un bis o di un altro evento simile? Che feedback è arrivato dai cittadini?“Tantissimi apprezzamenti, quasi tutti hanno avuto parole di grande elogio, poi ovviamente c’è sempre qualcuno che la pensa diversamente e va comunque rispettato. La pluralità della cittadinanza credo che sia rimasta felice di aver potuto godere di un evento unico al mondo e di aver fatto vedere al mondo ancora una volta la bellezza di questa città e di questi territori. La capacità organizzativa della città credo che abbia dimostrato di essere all’altezza ancora una volta, di poter essere in grado di fare, di realizzare eventi di una portata unica, soprattutto quando si tratta di eventi non statici ma dinamici, che a mio avviso richiedono ancora un maggiore sforzo organizzativo. Io mi auguro che Firenze, la città metropolitana e la Toscana possano continuare ad avere eventi così, perché hanno la capacità organizzativa, hanno una bellezza da far vedere al mondo e soprattutto credo che, attraverso lo sport, questo territorio possa crescere. Volevamo anche celebrare la memoria dei nostri ciclisti, grandi campioni immortali. Ripenso poi alle parole che ci ha detto il Santo Padre quando ci ha ospitato prima della partenza del Tour. Ci ha lanciato due messaggi, che per un medico dello sport valgono tantissimo. Appena siamo arrivati ci ha detto “lo sport è salute”, l’altra cosa che ci ha detto è “fate fare lo sport ai giovani” e quindi ci ha detto di investire nello sport, in impianti sportivi e non solo, perché portare i giovani all’interno del mondo sportivo vuol dire tenerli lontani da mondi che sicuramente non contengono i valori dello sport”. Iniziative sportive così mediatiche possono contribuire a raccontare altri contorni altrettanto nobili. Avete lavorato molto su questo? Su cosa vi siete maggiormente focalizzati?“Abbiamo cercato di raccontare intorno all’evento sportivo tutti gli altri mondi che insieme all’evento possono contribuire a rendere la società migliore. Il tema della sicurezza sulle strade, per esempio. Quindi abbiamo cercato di raccontare quanto sia importante far capire come il rispetto di alcune distanze e regole per chi viaggia sulle strade possono mettere al sicuro la vita di tanti ciclisti. Abbiamo raccontato come, con la presenza dei defibrillatori, questa sia stata la prima tappa del Tour cardio-protetta. Abbiamo voluto lanciare questo messaggio, che la presenza di questi defibrillatori può fare la differenza, perché sappiamo che la presenza di defibrillatori nei luoghi vissuti e frequentati dai cittadini può essere di ausilio per salvare una vita. Abbiamo voluto raccontare alcune storie, come quelle di Ottavio Bottecchia, Gino Bartali, Gastone Nencini e Alfredo Martini. Abbiamo voluto lanciare un messaggio chiaro: la bici è un mezzo di trasporto che fa bene alla salute, che non inquina e che quindi può diventare un valore aggiunto. Il Tour unisce i territori eliminando le barriere geografiche poiché siamo passati dall’Italia alla Francia. In un momento in cui nel mondo queste divisioni geografiche sono all’ordine del giorno, lo sport unisce popoli e territori”.